“Per prepararsi ai disastri è fondamentale sapere con quale probabilità possono verificarsi oggi e in futuro”. Tra i tanti possibili disastri innescati dal riscaldamento globale, il professor Ralf Toumi, condirettore del Grantham Institute for Climate Change, all’Imperial College di Londra, è specializzato in cicloni tropicali. Ed ha appena avviato un progetto per prevederne l’evoluzione futura: quanto aumenteranno in frequenza e intensità, a causa dell’innalzamento delle temperature, e dove colpiranno. “Le popolazioni e i governi hanno bisogno di sapere quanto investire in misure di sicurezza che proteggano persone e infrastrutture”, spiega Toumi. “Per farlo servono molti soldi e ci vogliono argomenti solidi che dimostrino come il rischio sia reale. Si deve sapere se un evento estremo è probabile che si verifichi ogni dieci anni, o ogni venti”. Per questo, in collaborazione con la Fondazione Vodafone, l’Imperial College ha avviato un progetto di citizen science: chi vorrà potrà, scaricando l’app DreamLab, mettere a disposizione il suo smartphone di notte, mentre si ricarica, perché, insieme a migliaia di altri dispositivi, vada a costruire un supercomputer virtuale, capace di eseguire le simulazioni ideate dagli scienziati.
Professore Toumi, perché è così difficile predire la futura evoluzione dei cicloni tropicali?
“Perché non abbiamo abbastanza dati relativi al passato. Oggi sappiamo che ogni anno a livello globale ci sono circa sei cicloni davvero devastanti. E supponiamo che tale numero sia raddoppiato rispetto a 40 anni fa. Ma la verità è che prima degli anni Ottanta non avevamo i satelliti e che prima degli anni Cinquanta in molte aree del mondo non si raccoglievano dati meteorologici. Insomma non conosciamo il punto di partenza, quella che noi chiamiamo baseline”.
E come pensate di ricostruite questo punto di partenza?
“Sarà la prima fase del progetto. Il modello statistico che abbiamo messo a punto all’Imperial College sarà alimentato con tutti i dati a nostra disposizione sulle tempeste tropicali che si sono verificate negli anni scorsi. In base a quel database, l’algoritmo simulerà centinaia di cicloni virtuali, con tanto di loro caratteristiche: posizione, rotta, velocità dei venti. Per ciascun evento avremo anche la percentuale di rischio che si possa ripresentare entro un certo periodo di tempo, per esempio 50 o 100 anni”.
Una simulazione fatta senza tener conto dei cambiamenti indotti nell’atmosfera e negli oceani dal riscaldamento globale…
“E infatti di questo aspetto si occuperà la seconda fase del progetto. Una volta ricostruita, grazie alle simulazioni, la situazione teorica in assenza di riscaldamento, introdurremo le variabili dovute alla crisi climatica in corso”.
Che forma prenderà il risultato finale dello studio?
“Immaginiamo di poter graficizzare per ogni area dei Pianeta il rischio e la ricorrenza dei cicloni tropicali, a seconda della temperatura media della Terra: se riusciremo a stare entro 1,5, o se invece saliremo a 2, o a 2,5 o a 3…”.
Eppure oggi si sanno prevedere abbastanza bene i cicloni tropicali.
“Una volta che il ciclone si è formato, in effetti si sa prevedere abbastanza bene la sua traiettoria. Ma non la sua forza. Un mese fa una tempesta di categoria 4 si è abbattuta sulla Florida, ma fino a pochi giorni prima si riteneva che non potesse andare oltre la categoria 1. L’intensità delle tempeste non ha a che fare non con la circolazione atmosferica complessiva, che determina invece la traiettoria, ma con la dinamica locale. E questo rappresenta un problema per i modelli matematici: perché le tempeste possono diventare molto violente in un tempo brevissimo”.
E per tutto questo possono essere utili i normali smartphone che usiamo tutti noi?
“Sì. Anzi, mentre i modelli usati per le previsioni del tempo non potrebbero girare su uno smartphone, questi modelli statistici possono farlo e in tal modo possiamo generare milioni di tempeste virtuali. Invece di avere una statistica di sei tempeste devastanti reali l’anno, ne avremo centinaia o migliaia virtuali. E questo ci permetterà di capire meglio quanto probabilmente si verificheranno nelle diverse aree del mondo in futuro”.
Ma non si potrebbero fare le stesse simulazioni con un supercomputer?
“Sì, ma dovremmo competere con molti altri gruppi di ricerca, perché il tempo di calcolo è molto prezioso. Se volessi usare il supercomputer dell’Imperial College dovrei mettermi in fila e aspettare il mio turno. Usare la rete di smartphone ci permette invece di accedere a una straordinaria potenza di calcolo, in modo semplice, privo di burocrazia e continuativo. Ma la cosa più appassionante, per me, è che con progetti come questo si coinvolgono le persone comuni, le si fa partecipare alla ricerca di soluzioni per la crisi climatica. Anzi, per chi ne volesse sapere di più, il 6 dicembre ci sarà un open day in cui spiegheremo il nostro progetto a tutti i citizen scientist“.