La compagnia aerea Air Canada ha ordinato 30 velivoli ibridi ES-30 sviluppati dalla svedese Heart Aerospace, entrando a far parte del gruppo con un investimento e accodandosi così ad altri vettori come Sas, Finnair e United Airlines. Quello canadese è uno degli ordini più cospicui in termini di mezzi che intendono inaugurare l’era dell’aviazione green. Eppure ha davvero un senso sviluppare (per ora sono solo progetti e nel migliore dei casi prototipi) e impegnarsi nell’acquisto di aerei che, a causa delle attuali limitazioni di peso e capacità dei pacchi batterie, possono coprire distanze davvero ridotte alle quali invece converrebbe destinare magari investimenti ferroviari adeguati? In molti se lo sono domandato proprio in occasione di quest’ultima operazione.

“Air Canada ha assunto una posizione di leadership nel settore per affrontare il cambiamento climatico – ha detto Michael Rousseau, presidente e Ceo di Air Canada – l’introduzione nella nostra flotta dell’aereo regionale elettrico ES-30 di Heart Aerospace sarà un passo avanti verso il nostro obiettivo di emissioni nette zero entro il 2050″. Il modello in questione da trenta posti, su cui i test saranno avviati in parallelo al modello ES-19 (esatto: da 19 posti), non entrerà in servizio prima del 2028 e i voli di prova decolleranno fra un paio di anni. Per alcuni questo tipo di velivoli, dotati di motori elettrici alimentati da batteria agli ioni di litio – dal peso di 3,5 tonnellate – e di generatori ibridi alimentati a cherosene o biocarburante che intervengono dopo una fase di volo “all electric”, possono avere senso per le tratte di nicchia: passaggi fra fiordi e isole canadesi o, venendo in Europa, scandinave, fra gli arcipelaghi britannici o per collegamenti intraregionali di scala ridotta, quasi in chiave “aerotaxi”. Fra l’altro, il nuovo piano degli aeroporti dell’Enac da poco presentato prevede per alcuni piccoli scali italiani, come l’Urbe di Roma, proprio il ruolo di snodi per aerotaxi anche di questo genere.

In quei contesti le compagnie potrebbero magari contare su sussidi pubblici, facilitare il turismo ma anche la vita quotidiana in alcune aree remote o comunque complesse da “ricucire” con gli hub aeroportuali più grandi. Qualche numero: il modello ES-30 dovrebbe in teoria godere di un’autonomia di 200 chilometri solo elettrico e di altri 200 con l’aiuto di generatori ibridi. Riducendo i passeggeri a 25 unità, questo raggio si allungherebbe a 800 chilometri. Tutto, di nuovo, in teoria. Distanze che possono ben essere coperte in treno e che spesso in paesi dalle dimensioni gigantesche, proprio come il Canada, rischiano letteralmente di non portare da nessuna parte in termini di interesse commerciale o turistico. Per questo in molti si domandano che senso abbia puntare su questi velivoli finché le batterie non saranno in grado di fornire l’autonomia necessaria e sviluppare finalmente jet ibridi in grado di coprire distante interessanti.

Anders Forslund, Ad e fondatore dell’azienda, respinge le critiche al mittente e sostiene invece che queste distanze, per ora certo contenute, possano comunque ben servire non solo qualche isoletta sperduta della costa canadese o norvegese ma anche piazze importanti. Un Parigi-Londra (450 km) o un New York-Boston (350 km) sarebbero per esempio tratte fattibili con un modello a emissioni zero, o quasi. Sarebbe una bella rivoluzione e un primo passo importante verso la decarbonizzazione del settore aereo, che pesa il 3% delle emissioni globali di gas serra. Ma che secondo lo statunitense National Renewable Energy Laboratory, con l’aumento della popolazione potrebbe produrre nel 2050 fra tre e cinque volte la CO2 del periodo pre-pandemico.

Secondo Jayant Mukhopadhaya, ricercatore dell’International Council on Clean Transportation, i voli di corto e cortissimo raggio hanno già una fetta di mercato non proprio trascurabile. Nel 2019 la quota di partenze di voli con meno di 30 passeggeri entro i 200 chilometri è stata del 2,8% del totale, ha spiegato a Treehugger. Estendendo a 400 chilometri la percentuale sale al 3,8% mentre si arriva al 4,1% considerando i voli da circa 25 passeggeri entro gli 800 chilometri. E anche col (grosso) problema di portarsi dietro pacchi batterie molto pesanti e alimentatori ibridi con relativo carburante, secondo l’esperto il volo elettrico è destinato a diventare sempre più efficiente di quello tradizionale.

Questo, di nuovo, in prospettiva neanche troppo lontana nel tempo. Confidando cioè in un rapido miglioramento delle tecnologie di stoccaggio dell’energia necessaria ai motori elettrici e dunque di un salto generazionale delle batterie verso quelle allo stato solido: più sicure, durevoli e con un peso inferiore sull’ambiente. Secondo una recente stima riportata dalla Mit Technology Review, l’autonomia effettiva di un aereo elettrico è infatti al momento imbarazzante: una trentina di miglia (poco meno di 50 chilometri) con un carico di una dozzina di passeggeri.

Il punto fondamentale, come detto, è la capacità oltre alla densità della batteria, in particolare la quantità di energia stoccabile in spazi relativamente piccoli come quelli di un aeroplano. Al momento possiamo alimentare solo velivoli molto leggeri – come il Pipistrel di Velis Electro, il primo e unico certificato dall’agenzia europea Easa (European Union Aviation Safety Agency) – e con minima capacità di carico, dunque con un raggio ridottissimo e che per il momento abbiamo visto solo in qualche presentazione-spettacolo come nel caso degli idrovolanti sviluppati da Harbour Air e magniX.

Al contrario un aereo elettrico a batterie ricaricate con energia proveniente ovviamente da fonti rinnovabili potrebbe farci risparmiare il 90% delle emissioni rispetto ai mezzi che oggi volano con varie tipologie di carburanti per aviazione, in gran parte a base di cherosene. Il 10% dei consumi rimanenti sarebbelegato alla manifattura delle batterie, che messe pesantemente sotto stress avrebbero un ciclo di vita molto ridotto e andrebbero dunque sostituite spesso, con tutto quello che riguarda le materie prime necessarie a produrle.

La capacità delle batterie

“Le batterie sono anche un modo efficiente di utilizzare l’elettricità in un aereo elettrico, circa il 70% dell’energia utilizzata per caricare una batteria alimenterebbe effettivamente l’aereo – spiega sempre la Mit Tech Review – ci sono alcune perdite nella batteria e nel motore, ma questa efficienza è elevata rispetto ad altre opzioni considerate per decarbonizzare il volo. Con l’idrogeno e il carburante sintetico, ad esempio, l’efficienza potrebbe arrivare dal 20 al 30%”. Un’altra società che ci sta puntando molto è la statunitense Wright Electric: ha firmato un accordo con la low cost easyJet e potrebbe seguire una strada diversa, con un “retrofit” di velivoli più grandi, da un centinaio di posti, o con la progettazione di modelli inediti come il Wright 1 da 186 posti e motore elettrico da 1 MW. Il salto dell’autonomia delle batterie dovrà essere importante perché ci sono anche elementi legati alla sicurezza del volo che “si mangeranno” un pezzo di quei miglioramenti.

Gli obblighi di legge

Le normative internazionali, ad esempio, richiedono un’autonomia di sorvolo di almeno mezz’ora a bassa quota e bassa velocità nel caso non sia possibile atterrare nello scalo programmato e quella da 60 miglia (100 chilometri) per raggiungerne uno alternativo. Per questo gli analisti dell’International Council on Clean Transportation stimano che l’autonomia effettiva, tolti gli obblighi di legge, sia al momento di appena 30 miglia, appunto 50 chilometri. Servirebbe un raddoppio della capacità delle batterie solo per consentire le distanze che oggi le startup impegnate promettono per tagliare meno dell’1% delle emissioni oggi prodotte. Il salto dovrebbe poi essere quadruplo per lanciare davvero l’era dell’aviazione elettrica, con una quota pur sempre importante di voli da alimentare con biocarburanti, che possono ridurre le emissioni nette di CO2 dell’80% ma entrando in competizione con la produzione del cibo e provocando deforestazione, o con sistemi a idrogeno per le tratte più lunghe. Su quest’ultimo punto sta lavorando da tempo Airbus, che punta a sfornare una tecnologia matura per il 2025, e la compagnia australiana Rex, che nei prossimi anni potrebbe iniziare i test su un velivolo da 34 posti alimentato a idrogeno.