Una nota marca giapponese di macchine fotografiche che sostiene uno studioso accusato di negazionismo climatico, un colosso dell’elettronica coreano che predica bene, ma razzola male in fatto di emissioni, e alcune organizzazioni non profit scese sul piede di guerra perché convinte che così facendo finiremo per compromettere definitivamente gli equilibri del pianeta. I protagonisti di questa storia sono loro, con l’aggiunta di un concorso fotografico mondiale sul tema della crisi ambientale che premierà il vincitore esponendo il suo scatto a Times Square a marzo.

Il concorso è stato intitolato Cameras Don’t Lie, che potremmo tradurre con “le macchine fotografiche non mentono”. A lanciarlo la Action Speaks Louder, no profit australiana nata nel 2021 con lo scopo di combattere il greenwashing, ovvero l’ambientalismo di facciata di quelle compagnie che muovono appena un dito per salvaguardare il pianeta ma che pubblicamente sostengono invece di fare molto. Nel caso di Samsung e in particolare di Canon l’accusa è più pesante. Quest’ultima non solo fa un bassissimo ricorso alle rinnovabili, ma il suo Canon Institute for global studies (Cigs) ha pubblicato degli studi firmati dal direttore delle ricerche Taishi Sugiyma che mettono in dubbio il peso delle attività umane nell’innalzamento della temperatura. In The Earth Climate System as Coupled Nonlinear Oscillators under Quasi-Periodical Forcing from the Space, si sostiene ad esempio che la temperatura muta anche grazie ad altre variabili come El Niño e l’attività solare.

 

“C’è stato un cambiamento importante negli ultimi tre o quattro anni: tutte le principali aziende dicono di aver messo in campo misure per combattere la crisi climatica. Pochissimi di loro però stanno effettivamente mantenendo le promesse“, racconta James Lorenz da Sydney, uno dei fondatori della Action Speaks Louder. Nato in Gran Bretagna, 45 anni e due figli, ha un lungo passato come dirigente di organizzazioni come Medici senza frontiere e Greenpeace. “Ed è invece fondamentale che lo facciano, se vogliamo davvero raggiungere gli obiettivi di limitare l’innalzamento delle temperature. Perché sono spesso multinazionali che hanno una forte influenza politica. Fujio Mitarai, a capo di Canon, è fra coloro che stanno usando quel potere per bloccare la transizione energetica”.

L’uso di fonti rinnovabili da parte di Canon è di appena il 4,8%, contro il 100% di altri colossi giapponesi come Sony, Ricoh, Fujifilm, Nikon e Panasonic. Stando alla relazione stilata da Transition Asia, altra no-profit stavolta basata per lo più ad Hong Kong, Canon avrebbe abbassato i suoi obiettivi in fatto di emissioni per il 2030, passando da un taglio del 50% a circa il 23%. Ma la cosa che ha fatto più infuriare la Action Speaks Louder, e che ha portato all’organizzazione del concorso fotografico internazionale, sono le posizioni del Canon Institute for Global Studies, centro di ricerca voluto dall’amministratore delegato Mitarai che vorrebbe avere “un ruolo attivo nel plasmare il futuro del Giappone e del resto del mondo, tracciando con precisione le direzioni e le visioni future, diffondendo informazioni, fornendo tabelle di marcia”.

Seita Emori, professore all’Università di Tokyo e ricercatore dell’Istituto Nazionale per gli Studi Ambientali sostiene che “una parte significativa di quella che sembra essere una controversia scientifica sulla crisi climatica ha lo scopo di ritardare l’azione“. Secondo lui quindi, un’azienda che punta a un futuro sostenibile dovrebbe tenersi a distanza da tesi del genere”.

 

Il caso di Samsung è diverso e viene annoverato come esemplare nel campo dell’ecologismo di facciata. Nel 2018 ha sostenuto di usare ormai solo energia prodotta da fonti rinnovabili, ha però dimenticato di sottolineare che questo è accaduto unicamente in certi territori, come Stati Uniti e Europa, mentre in altri la strada da percorrere è ancora molto lunga. E guarda caso si tratta dei Paesi dove è concentrata parte della produzione. “Samsung è in ritardo. E questo è grave perché quando si parla di tecnologia, ci sono poche aziende più grandi e più globali di Samsung”, scrive Transition Asia. “L’80% del consumo totale di elettricità di Samsung Electronics è in Corea del Sud e Vietnam, dove la produzione di energia dipende fortemente dai combustibili fossili. In breve: sta dando una mano a peggiorare ancor più la crisi climatica”.

Anche l’associazione europea Carbon Market Watch è della stessa idea e nel suo ultimo rapporto sottolinea che “Samsung non prevede di passare al consumo di elettricità al 100% di energia rinnovabile fino al 2050, ma adotta misure proattive per affrontare i problemi a livello di sistema per la fornitura di elettricità rinnovabile in Asia. Samsung ha attualmente una bassa quota di consumo di elettricità rinnovabile, 15-20%”.

A leggere i rapporti sulla sostenibilità di entrambe le multinazionali, ci si imbatte in effetti in una serie di proclami nelle prime pagine e verso la fine in rendicontazioni fitte di dati dove il proprio impatto ambientale è calcolato in maniera poco intelligibile se non a volte discutibile. Stabilire come termine ultimo l’abbattimento delle emissioni entro il 2050 è già una promessa di poco conto se non ci sono dei passi avanti progressivi a partire da oggi. Canon ad esempio sostiene che dal 2008 ha ridotto del 3% all’anno le emissioni di CO2 per ogni prodotto nel suo intero ciclo di vita. Ma i dubbi che riesca ad arrivare a ridurre della metà i gas serra che emette entro il 2030 per poi annullarli al 2050.

 

Non a caso figure del calibro di Brad Smith, presidente di Microsoft, ormai da due anni sostengono la necessità di arrivare ad una misurazione e ad una certificazione delle emissioni di gas serra fatta da enti terzi attraverso la tecnologia. “Le emissioni di gas serra sono come il Covid. Non rispettano i confini fra nazioni, si propagano nell’aria e richiedono interventi e sforzi globali per trovare un rimedio”, spiegò a fine settembre del 2022. E in questo campo chiunque può dire più o meno quel che vuole senza che ci sia una vera conferma di quanto sta davvero facendo per cambiare le cose.

Il concorso fotografico Cameras Don’t Lie è un modo per attirare l’attenzione tirando in ballo la creatività. Le immagini, che come dicevamo all’inizio devono avere come tema la crisi climatica, verranno vagliate da un giuria composta da tre fotografi e artisti internazionali: Celina Chien, che è anche membro della giuria del Wildlife Photographer of the Year; Hisham Akira Bharoocha, che ha esposto in musei come il MoMa, MoCA, The Sydney Opera House e Barbican fra gli altri; Naoki Ishikawa del cui opere sono state acquisite dal Museum of Contemporary Art Tokyo e il Tokyo Metropolitan Museum.

Quello che stiamo cercando di fare è guardare alle grandi aziende internazionali che hanno influenza politica e fare in modo che si muovano più velocemente nel tagliare le emissioni“, conclude Lorenz. “A loro sono spesso legate catene lunghissime di approvvigionamento come nel caso di Samsung. Se davvero usassero energia rinnovabile la differenza sarebbe enorme in termini di riduzione delle emissioni. Anche perché in tanti Paesi si usa ancora il carbone”.

Action Speaks Louder sostiene di essere finanziata da una serie di organizzazioni filantropiche come la The European Climate Foundation impegnate nella lotta al cambiamento climatico e nessuna di queste avrebbe interessi di alcun tipo nei settori delle multinazionali messe sotto la lente d’osservazione. Non abbiamo modo di verificare, ma di certo è anche questo un aspetto importante. La sostenibilità è una questione attorno alla quale girano molti soldi e se da un lato sembra assolutamente necessario un sistema di certificazione affidabile delle emissioni per evitare facili operazioni di marketing, dall’altro serve anche molta trasparenza per quel che riguarda le no profit coinvolte su questo fronte.

Un’ultima cosa. Abbiamo chiesto alle filiali italiane di Canon e Samsung un commento, una risposta alle accuse mosse, sapendo bene che la prima c’entra poco con il Canon Institute for Global Studies e la seconda non ha voce in capitolo sull’uso di energia negli impianti in Corea del Sud o Vietnam. Paolo Tedeschi, a capo della divisione Corporate & Marketing Communications di Canon Italia, ha così risposto: “Canon Institute of Global Studies è un think tank indipendente, i cui collaboratori non rappresentano le opinioni di Canon, né sono approvati dal brand. Ci impegniamo per raggiungere zero emissioni nette di CO2 entro il 2050. Inoltre, dal 2008 Canon ha fissato un obiettivo di miglioramento medio delle emissioni di CO2 del 3% annuo del ciclo di vita per unità di prodotto, che è stato costantemente raggiunto”. 

Di seguito la replica di Samsung Italia: “Samsung è determinata ad assumersi la responsabilità di essere un brand globale leader del settore e si impegna a perseguire progetti di sviluppo di energia rinnovabile, per raggiungere gli obiettivi preposti (Net Zero carbon emission) prima del previsto. A tal fine, Samsung utilizzerà attivamente i mezzi disponibili a livello nazionale come il green pricing, l’acquisto di certificati di energia rinnovabile (REC), e la firma di accordi di acquisto di energia rinnovabile (PPA). Samsung continuerà inoltre a collaborare con varie parti interessate, tra cui il governo, i partner del settore e la società civile per andare ben oltre il semplice acquisto di energia”.

Aggiunge inoltre alcune circostanze che secondo l’azienda si dovrebbero considerare: “1) Ci sono una serie di aspetti peculiari da considerare per quanto riguarda l’approvvigionamento di energie rinnovabili in Corea del sud e un suo maggiore utilizzo, come la dipendenza della Corea dall’industria manifatturiera, la ristretta geografia del territorio, la radiazione solare insufficiente e la velocità del vento. 2) RE100 cita la Corea del Sud come uno dei primi 10 mercati in cui risulta più difficile l’approvvigionamento a causa della scarsa disponibilità di energie rinnovabili e per via delle barriere normative. 3) Ciò è in parte dovuto al mercato delle energie rinnovabili del paese, dove le opzioni di approvvigionamento per le aziende hanno iniziato ad espandersi ma rimangono limitate. Ad esempio, per quanto riguarda il PPA diretto che è stato introdotto in Corea lo scorso anno, ci sono stati dibattiti tra le parti interessate sul sistema dei prezzi che ne rende difficile l’utilizzo da parte delle aziende”.