Sarà sul palco dell’Open Summit di Green&Blue, mercoledì prossimo, di ritorno dalla Cop27 di Sharm el-Sheikh e in procinto di partire per il Canada, dove dal 7 al 19 dicembre si tiene la Cop15 sulla biodiversità. Marco Lambertini, dal 2014 direttore del Wwf internazionale, nato a Livorno 67 anni fa, è ormai cittadino del mondo e l’Italia l’ha lasciata già nel 2009, quando è stato nominato direttore esecutivo di Bird Life International.


Lambertini, come si arriva al vertice della più importante organizzazione per la conservazione della natura?

“Con la passione e i risultati. La passione, dice lo scrittore Edward Wilson, era nei miei geni. Mia madre mi ha raccontato che a 4 anni già riempivo gli armadi di foglie e insetti. A 12 anni, quando salvavo i girini dalle pozze che si seccavano, vidi un annuncio di Fulco Pratesi per la campagna associativa del Wwf e mi iscrissi. La mia prima battaglia fu l’operazione “San Francesco” per la salvaguardia del lupo, una delle campagna più entusiasmanti: basti pensare che in Italia erano rimasti negli anni Settanta appena un centinaio di esemplari e adesso se ne contano oltre 3mila. Poi sono stato nominato direttore generale della Lipu, carica che ho ricoperto dal 1990 al 1996″.


E il salto ai vertici internazionali?

“Mi ero fatto notare già nel 1981 come coordinatore della campagna per il birdwatching della Lipu italiana, che è una costola di BirdLife International, quando in Italia c’erano 3 milioni di cacciatori…una bella sfida. Il passaggio a Cambridge è arrivato grazie allo splendido gruppo della Lipu e ai risultati eccezionali per le aree protette e la campagna associativa”.

Quali sono i suoi punti fermi nel dirigere una struttura articolata come il Wwf?

“Per ottenere dei risultati sul campo bisogna lavorare a livello politico ed economico. Lo abbiamo sotto gli occhi: per risolvere la crisi climatica serve un’azione politica sostenuta da investimenti economici, servono leggi e il nostro ruolo è di agire sia a livello internazionale, sia locale per promuovere questi interventi. Una delle nostre principali qualità è di essere un’organizzazione molto decentrata,  con uffici nei vari Paesi capaci di collegare le campagne locali con quelle internazionali e viceversa, fondamentale perché se si lavora soltanto a livello globale non si è efficaci. Ce lo dimostra l’Accordo di Parigi, un grande obiettivo internazionale che dà risultati se si collega a una macchina produttiva locale”.


A proposito di risultati. Anche questa Cop si è chiusa in chiaroscuro.

“È giusto essere arrabbiati, capisco soprattutto i giovani, ma non demoralizziamoci, non facciamoci prendere dall’eco ansia. Non si tratta di ottenere un futuro perfetto, si tratta di agire e impegnarsi. Del resto abbiamo sotto gli occhi il cambiamento: quando ero bambino vedere un airone cinerino era un’esperienza rara. Ora, come moltre altre specie, è tornato in Italia. È vero che siamo molto indietro nel raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, ma immaginiamo a che punto saremmo ora se quegli impegni non fossero stati sottoscritti: come minimo è servito a capire quali Paesi sono disposti a collaborare e quali no”.

Sono numerose le voci che criticano questo tipo di vertici in generale e sottolineano la necessità di riformare l’Onu stessa.

“Non ho le competenze specifiche per esprimermi sul ruolo dell’Onu. È chiaro che esiste un paradosso per cui le prove scientifiche sono ormai inconfutabili sulla necessità di ridurre le emissioni globali, ma questa consapevolezza non viene integrata nelle dichiarazioni a livello globale, perché alcuni Paesi bloccano i processi di negoziazione. Si finisce sempre per puntare a un accordo al ribasso, però ribadisco che se non ci fossero stati neanche questi accordi saremmo in situazioni ben peggiori e le istituzioni finanziare e le grandi aziende non avrebbero fatto nulla”.


Qual è il vostro obiettivo per la Cop15 sulla biodiversità?

“Ottenere un accordo naturalistico equivalente a quello sul clima di Parigi, con obiettivi per tutta la società nel suo complesso, in modo da raggiungere la visione per il 2050 di “vivere in armonia con la natura”. Come obiettivo intermedio al 2030 ci deve essere quello di intraprendere un’azione urgente per arrestare e invertire la perdita di biodiversità e raggiungere un mondo “nature positive” entro il 2030, quando ci dovrà essere più natura rispetto al 2020″.

La Cop15 si sarebbe dovuta svolgere in Cina, ma è stata spostata in Canada per il Covid. Sarà comunque Pechino a dettare l’agenda?

“La Cina è presidente della Cop, ha il compito di aggregare e negoziare, ma in fin dei conti le decisioni dipendono dagli stati membri ed emergono da varie posizioni. Per esempio ci sono oltre cento Paesi, che noi sosteniamo, concordi nel chiedere un accordo simile a quello di Parigi sulle emissioni. I punti fermi di questa azione per passare da una “negative nature” a una “positive nature” sono tre. Intanto, riaffermare che si può aumentare la biodiversità con azioni mirate, concentrandosi su una protezione sempre più ampia (l’obiettivo di porre sotto protezione almeno il 30% delle superfici emerse e degli oceani di tutto il mondo) focalizzata soprattutto sugli ecosistemi ancora intatti. Secondo, promuovere il risanamento degli ecosistemi persi o degradati. Terzo, impegnarsi per una gestione sostenibile delle risorse naturali, agendo sui cinque principali settori economici: agricoltura, infrastrutture, attività forestali, pesca e attività minerarie. Infine, ma è forse l’aspetto più importante, bisogna rimuovere e scoraggiare gli investimenti “nature negative” e sostenere quelli “nature positive”. In questo i governi hanno un ruolo fondamentale, perché devono intervenire cambiando il sistema dei sussidi, sovvenzionando le buone pratiche e scoraggiando quelle che impattano sull’ambiente. Questo non significa fermare l’economia, significa operare con tecnologia e pratiche sostenibili e mobilizzare le risorse finanziarie in questi ambiti”.

L’obiettivo di proteggere almeno il 30% delle superfici emerse e degli oceani di tutto il mondo non rischia di essere un contenitore vuoto se poi non ci sono le risorse per vigilare e far rispettare  i vincoli di conservazione?

“È proprio questo il nodo centrale dei finanziamenti, che dovrà essere discusso e approvato alla Cop15 di Montreal. Come per la Cop27, il dibattito è tra il Nord e il Sud del mondo, con i Paesi più danneggiati dal cambio climatico e con maggiore perdità di biodiversità che chiedono compensazioni e finanziamenti. Per questo dovremo avere obiettivi ambiziosi sui quali trovare un accordo, per spingere i governi a trovare risorse attraverso la Banca mondiale, la filantropia, gli investimenti privati. Tutti dovranno essere coinvolti. E dovremo delineare per la biodiversità un sistema di crediti come fatto per le emissioni. Ci sono moltissime possibilità ma ci deve essere un obiettivo globale condiviso”.

Da anni si batte per la difesa della natura. Nel suo ottimismo, c’è qualcosa che ancora la sconforta?

“L’insensibilità, l’incapacità di capire che distruggendo la natura distruggiamo il futuro dei nostri figli. Non lo dico soltanto perché essendo padre guardo mio figlio e mi chiedo che mondo gli stiamo lasciando. Non concepisco che non si colga l’enorme sofferenza che infliggiamo alla natura e alla fauna selvatica distruggendo la sua e la nostra casa”.