La vite e il vino cambiano in simbiosi con il clima e con l’ambiente. Con temperature più alte e siccità prolungate molti produttori in tutto il mondo sono ora alla ricerca della pianta perfetta, in grado di adattarsi al riscaldamento globale con i tempi sincopati dell’economia su larga scala. Spesso la scelta ricade su varietà antiche di vite che tollerano il caldo torrido e la siccità. E in Italia c’è l’imbarazzo della scelta: oltre il 70 per cento delle 615 varietà iscritte nel registro nazionale sono autoctone. Molti di questi genotipi sono stati accantonati negli anni Sessanta perché non avevano i requisiti richiesti dall’agricoltura moderna ma oggi sono stati riscoperti perché resistono meglio ai cambiamenti climatici.

Uno di questi è la Falanghina, un’uva a bacca bianca coltivata quasi solo in Campania: per le sue capacità di resistenza alle estati prolungate, è presente oggi su in diversi cru della California come Paso Robles, Sonoma e Napa Valley. In Sicilia di recente sono stati selezionati per la riproduzione sei cosiddetti vitigni reliquia tra i quali il bianco Recunu, una rarità ampelografica che germoglia presto e matura tardi con solo più pochi esemplari nel Messinese. Nel 2021 è stato iscritto nel registro nazionale il Negrellone, un promettente relitto vitivinicolo originario della provincia di Catanzaro che sopporta bene gli stress ambientali. Altre viti, come il Sangiovese, reagiscono naturalmente alla siccità concentrando tutte le energie sulle foglie più giovani e lasciando seccare quelle più in basso. 

Il racconto

L’era del Chianti prodotto in Svezia

di Nadeesha Uyangoda

“Queste varietà hanno avuto tutto il tempo per evolversi in periodi molto caldi o durante le epidemie e oggi sono state recuperate perché sono favorite dall’innalzamento delle temperature – spiega Attilio Scienza, ordinario dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino – lo stesso vale, ma per ragioni diverse, anche per alcuni vitigni del nord come il Nebbiolo che ha dimostrato una notevole capacità di resistenza a caldo e siccità. Ma è vero che la maggior parte delle denominazioni in futuro saranno delocalizzate a quote maggiori. Il nome dei vini rimarrà lo stesso ma non così per il terroir, ovvero l’aerale di produzione. Quella della vite, non a caso, è una storia di rivoluzioni. La piccola era glaciale iniziata nel Medioevo e l’epidemia di filossera a fine Ottocento hanno costretto gli agricoltori a trasferire altrove i vigneti o a ripensarne alla radice le tecniche di coltivazione. Una storia che si ripete.

Questi vitigni antichi diventano campioni di sopravvivenza anche quando ritornano per un periodo nel loro ambiente originario, ovvero nel bosco. “Quando vengono abbandonate queste piante riattivano quei meccanismi di difesa naturali contro i funghi ed altri parassiti che in parte erano stati allentati dall’agricoltura – spiega Alberto Palliotti, docente dell’Università di Perugia che ha curato un interessante atlante dei vitigni poco diffusi (Edagricole, 2022 ) – queste varietà si trovano nelle zone più complicate come nelle fasce pedemontane di Marche, Abruzzo e Umbria dove negli anni Quaranta, prima della meccanizzazione agricola, erano ancora coltivate a vigneto misto”.

Agricoltura

Piantare alberi nelle vigne migliora uva e vino

di Gaetano Zoccali

Un caso interessante è il Nero antico di Pretalucente, una pianta non ancora registrata nell’elenco nazionale e oggi vitata su un solo di ettaro di superficie a ridosso della Majella. Diversi esemplari rinselvatichiti di questa varietà sono stati scoperti nei boschi del Comune di Gessopalena in provincia di Chieti a oltre settecento metri di quota. L’acino del Nero antico ha una buccia così tignosa da respingere in blocco l’attacco dei funghi. La rinascita delle viti antiche è un fenomeno mondiale. Il Counoise, una delle tredici varietà consentite nella denominazione dello Châteauneuf-du-Pape, celebre rosso francese della valle del Rodano, è una delle piante candidate ad adattarsi meglio al cambiamento climatico. È un’uva tardiva, abbandonata fino alla soglia dell’estinzione perché poco produttiva nelle annate più fredde ma che oggi dimostra di poter sopportare i climi aridi.  Lo stesso si può dire per altre varietà resistenti alla siccità come il Mencìa spagnolo.