Immagini di orsi polari denutriti e sofferenti, che fluttuano su isole di ghiaccio sempre più piccole a causa del riscaldamento globale e dello scioglimento dei ghiacci polari. Siamo tutti incappati, almeno una volta, in un’immagine di questo tipo proposta da un giornale, un documentario o un servizio televisivo. Tutto vero, anche se, per quanto riguarda gli eventi meteo estremi innescati dal cambiamento climatico, una ricerca scientifica pubblicata su eLife mostra che gli orsi – specialmente i Grizzly – non sarebbero gli animali che se la passano peggio. In generale, mostrano i risultati, gli animali più longevi e che procreano meno, sono quelli più resilienti.

Nello studio i ricercatori hanno raccolto i dati sulla variazione della popolosità di 157 specie di mammiferi di varia taglia e li hanno correlati alle condizioni climatiche dei loro habitat in un periodo di tempo di almeno 10 anni. Lo studio si è focalizzato principalmente sugli effetti di lunghi periodi di siccità o di intense piogge.

La crisi climatica cambia la dieta dell’orso polare: ora caccia le renne

L’analisi della reazione delle popolazioni (in termini di numero di individui e capacità di figliare) a condizioni climatiche estreme ha messo in evidenza un chiaro schema: gli animali che vivono a lungo e hanno pochi figli sono meno vulnerabili rispetto a quelli che vivono per poco tempo e hanno molti figli. Ne sono un esempio lama, pipistrelli longevi ed elefanti rispetto a topi, opossum e rari marsupiali come il woylie.

Riscaldamento globale

Biodiversità a rischio per anni con le temperature in aumento

di Anna Lisa Bonfranceschi

Fra le specie analizzate, in cima alla lista della resistenza (o resilienza) ai fenomeni meteorologici estremi troviamo alcuni animali a rischio di estinzione come l’elefante africano, tigre siberiana, scimpanzé, alcuni tipi di pipistrello, lama, vigogna, orso grizzly e bisonte americano. Persino il rinoceronte bianco, vessato dal bracconaggio e attualmente a serio rischio di scomparsa, avrebbe la capacità di resistere bene a lunghi periodi di siccità e intense piogge. Questi, secondo lo studio, resistono meglio perché, vivendo più a lungo e figliando molto poco, possono concentrare i propri sforzi durante i periodi più favorevoli senza compromettere di molto l’equilibrio e la popolosità della loro specie. La carenza di acqua, invece, ha un impatto diretto molto maggiore sul nutrimento di animali come topi, opossum, lemming, volpi, ermellini e scoiattoli, che sono quindi i più duramente colpiti da eventi come quelli considerati. Nel breve periodo, in particolare, la popolosità di queste specie può subire severe battute d’arresto, ma può riprendersi altrettanto velocemente grazie al loro elevato tasso di riproduzione.

“Prevediamo che in futuro i cambiamenti climatici porteranno a fenomeni meteorologici più estremi. Gli animali dovranno far fronte a questo clima estremo come hanno sempre fatto. La nostra analisi aiuta quindi a prevedere come le diverse specie animali potrebbero rispondere ai futuri cambiamenti climatici in base alle loro caratteristiche generali, anche se disponiamo di dati limitati sulle loro popolazioni”, dice Owen Jones, ricercatore della University of Southern Denmark e coautore dello studio. Un altro aspetto da considerare è che, come l’uomo, anche le altre specie animali migreranno a causa dei cambiamenti climatici alla ricerca di condizioni più favorevoli alla vita. I dettagli del fenomeno non sono prevedibili al momento, ma quel che è certo è che innescherà cambiamenti importanti e avrà un impatto che coinvolgerà interi ecosistemi.