«Ammirate lo splendore di questi abiti, la morbidezza della seta, la preziosità dei ricami», sorride compiaciuta Agnese Bufalieri e con la mano indica il corpetto della modella con merletti al collo e ai polsi.  “E’ questo un elemento caratteristico dell’abito delle donne di una volta – La Vunnella – che noi dell’associazione culturale “La Vunnella”, di cui sono presidente, cerchiamo di far conoscere anche alle giovani, recuperando le antiche tecniche di ricamo. Un vanto per il nostro territorio», ci dice. Siamo a Montecelio, un paese Medievale arroccato sulla punta rocciosa di una collina da cui si domina Roma fino al mar Tirreno, e qui l’accostamento al genere femminile nasce spontaneo. Il paese, infatti, rientra nel progetto “In Viaggio con Eva”, e anche se dietro ci sono pure uomini, come Renato Chioccia di Tivoli Grand Tour, è un progetto “in rosa” di promozione turistica e valorizzazione del territorio – tra agro romano antico e Sabina romana con capofila Tivoli – che mette in luce la figura femminile dal mito ai giorni nostri. Protagoniste sono imprenditrici, artiste, studiose, cuoche, artigiane che con la loro passione mantengono vivi “gli incontri” tra natura e lavoro, memoria e quotidiano. Tutto nei borghi, dimensioni ideali per trovare la pace nel bello, al sicuro e senza folla. Qui in un’ora di viaggio s’incontrano dieci sfumature di dialetto. Come attraversare una nazione in poco tempo. E poi si aggiunge il paesaggio a far stare ancora meglio: con i panorami in gradazione cromatica, borghi e castelli da far invidia a località ben più blasonate della regione Lazio. E ovviamente ci sono i pacchetti che ciascuno può costruire su misura, secondo le proprie inclinazioni, i desideri e il budget (info su www.tivoligrandtour.com). Un turismo di piccole cose ma grandi emozioni. Un solo unico filo conduttore: relax e piacere dell’ospitalità e dell’accoglienza. Ogni luogo ha la propria storia e le proprie glorie, come i ruderi della rocca di Montecelio, nel punto più alto che sembra abbracciare le case sottostanti posizionate a grappolo, dove non si può non fare una sosta. Da quassù la vista della vallata sottostante sembra un quadro e lo sguardo arriva fino alla capitale. Per giungere in alto si cammina lungo la via Servio Tullio, una delle strade più caratteristiche intitolata al sesto Re di Roma che, secondo la leggenda, nacque in questo luogo verso la fine del IV secolo a. C. dalla schiava Ocresia.

Tra macchie di ombra e di luce, attraversando oliveti con le foglie di un verde brillante e frutteti, si giunge a poi a Palombara Sabina. La bellezza selvatica della campagna intorno sembra entrare nelle mura di questo mondo incontaminato, quasi fermo, protetto dal monte Gennaro, una difesa sia dal freddo che dagli attacchi dei nemici. Così come Montecelio si sviluppa su una collina e ha un impianto spiraliforme, ovvero le strade si aprono a spirale lungo tutti i versanti della collina. Uno dei pochi, se non l’unico al mondo, con questa caratteristica. Che non è la sola. Pare che il nome derivi dalla presenza, un tempo, di numerosi piccioni che si chiamano in dialetto palombelle. Osservando attentamente si notano dei buchi nelle costruzioni, i rifugi preferiti dai volatili. Le nonne o le guide più romantiche vi racconteranno la figura di una grande donna che si è resa eroina per le sue vicende amorose. Si chiamava Barbara Pasquarelli – una targa vicino alla sua abitazione la ricorda – e ogni giorno andava a Trastevere a Roma con le donne del luogo per lavorare nelle vigne. Una volta viene notata dall’artista francese Jean Baptiste Carpeaux, allievo dell’accademia di Francia, che la vuole subito nel suo atelier e le dà il nome di Palombella. I due s’innamorano ma la famiglia di lei è contraria all’unione e la dà in sposa a un uomo rozzo abruzzese. La giovane affranta dal dolore, si ammala pure di tisi durante la gravidanza e sul letto di morte manda a chiamare Carpeaux. Quando lui arriva, però è già troppo tardi. I biografi del tempo, raccontano che non farà mai mancare dei fiori sulla sua tomba, inviando dei soldi alla nonna di lei, l’unica favorevole a questo amore. Passeggiando tra le strade, s’incontra anche la piccola chiesetta di San Biagio che risale all’anno mille, anche se l’impianto moderno è del 1800, fino al castello Savelli (vi si accede solo con visita guidata), dalla forma di un poligono irregolare e con anche un giardino pensile. Gli interni hanno sale decorate, molte dagli allievi della scuola di Raffaello (risalenti al 1500). Tra questi si nota la figura dei castellani Troilo Savelli e la moglie Paola, che pare non spiccasse proprio per la delicatezza dei lineamenti.

Jean Baptiste Carpeaux e Palombella, Palombella Sabina (foto Margaret Dallospedale)
Jean Baptiste Carpeaux e Palombella, Palombella Sabina (foto Margaret Dallospedale) 

Ancora pochi chilometri, in mezzo alla natura, e si raggiunge l’abbazia di San Giovanni in Argentella, gioiello romanico posizionato nella vallata dei monti Cornicolani. Pare che l’acqua che sgorga vicino sia (era) miracolosa. Ma al di là della fede e delle tradizioni popolari questo luogo regala allo sguardo mille sfumature di verde e il riflesso argenteo dei rivoli che un tempo scendevano dalle colline circostanti e che ha ispirato il nome “Argentella”. Uno dei pezzi forti dell’interno è il Ciborio, al di sopra dell’altare in muratura, su quattro colonne di marmo.

Altro paese “made in femmina” è Castel San Pietro Romano che si lascia scoprire a poco a poco nella sua bellezza, quasi con fatalismo, e chi la esplora ha sempre l’impressione di essere un privilegiato, uno dei pochi ammessi ai segreti del suo incanto. Lo chiamano il “Balcone del Lazio” e a ogni solstizio d’estate festeggia la Notte Romantica. E non solo. Ovunque, si ha la sensazione che da un momento all’altro possa comparire davanti la bella “Bersagliera”, interpretata da Gina Lollobrigida nella pellicola di successo “Pane, amore e fantasia” e girato nella piazzetta (con anche Vittorio De Sica). Uno dei tanti film girati nel passato. Il Mudi, il museo diffuso, racconta l’intreccio di storie antiche e moderne. Ma questo progetto ha anche uno spirito rural che è anche un modo di vivere per ritrovare i ricordi dell’infanzia attraverso la buona tavola. Non mancano così proposte che uniscono le tradizioni enogastronomiche ai piaceri degli antichi mestieri. Il forno Fiasco, proprio nella piazzetta di Castel San Pietro Romano, ne è un esempio. Da anni sforna il “Giglietto di Palestrina”, dal 2014 presidio Slow Food. Sono state le donne, manco a dirlo, a conservare la tradizione e la ricetta passandola di madre in figlia. Dal 1967 a tenerla viva sono le sorelle Erminia e Laura che con abilità e velocità trasformano l’impasto in una sorta di fiore, da qui il nome, il cui profumo fa compagnia, è intenso e si sente forte, complice un leggero venticello che con le sue sferzate esalta il piacere olfattivo. E lo stesso vale nel vicino paese di Palestrina, anche famoso per il Santuario della Fortuna Primigenia, una divinità legata alla fertilità.

Tra gli altri santuari della zona che meritano una visita, c’è il Santuario della Mentorella, uno dei più antichi, con una scala santa fatta a metà del Seicento da Athanasius Kircher e che si dovrebbe percorrere in ginocchio per avere il perdono dei peccati. Dall’alto lo sguardo si posa sulla valle del Giovenzano, fino alla Valle di Subiaco e Cervara, sui Monti Simbruini. Papa Giovanni Paolo II era un habitué. La sua giornata era una sorta di rituale: almeno due ore chiuso in Chiesa a pregare, una passeggiata nei dintorni in attesa del pranzo. Prima di andare via veniva accolto in una delle camere disponibili per una ventina di minuti di riposo. Non ha mai celebrato la Messa e non si è mai fermato per la notte, né da Cardinale né da Papa. In una stanza i padri polacchi che ci vivono hanno ricostruito quei momenti con foto alle pareti, oggetti che lo ricordano e una poltrona con poggiabraccia dove si sedeva durante il pranzo.

Altre sorprese gastronomiche si ritrovano nella vicina Capranica Prenestina con “la Mosciarella”, castagna essiccata e poi cotta. Si può assaggiare da Agromnia, un’azienda  agricola con prodotti locali – vino, formaggi, olio – anche di altre aziende. Ha anche un ranch, dove con l’aiuto delle amazzoni Ilaria e Cinzia, imparare ad andare a cavallo, o fare delle passeggiate lungo i sentieri dei monti Prenestini.

Infine, c’è Tivoli, l’antica Tibur, punto di arrivo, ma anche di partenza, di questo itinerario nel segno di Eva. Sorge in posizione strategica su un “balcone” a oltre duecento metri che affaccia sulla pianura Romana e fu fondata oltre quattrocento anni prima di Roma. Nota sin dall’antichità per le sorgenti delle Acque Albule che Strabone, storico greco, definì: “fresche, salutari per molte malattie sia per chi la beve sia per chi vi si bagna”. Ed è il gorgheggiare dell’acqua che accompagna tutta la visita di Villa d’Este, capolavoro del Rinascimento italiano, e dei suoi giardini su trentacinque mila metri quadri: oltre cinquanta fontane (una persino musicale), cento vasche, duecentocinquanta fontane e altrettanti zampilli che quasi ipnotizzano. La Villa commissionata nel 1550 dal cardinale Ippolito d’Este, figlio di Lucrezia Borgia nominato governatore della città di Tivoli, all’architetto Pirro Logorio, affascina però anche per le sale, da quella di Venere a quella di Noè, dalla camera del Cardinale Ippolito alla stanza Tiburtina. Molte interamente affrescate, altre con spazi bianchi a indicare il lavoro incompiuto a causa delle poche finanze a disposizione. A pochi passi, il Santuario di Ercole Vincitore che per dimensioni ricorda il Colosseo.

Si fa, invece, un tuffo nella grandezza imperiale con i resti della monumentale Villa Adriana (patrimonio Unesco come Villa d’Este) descritta nei disegni di Piranesi.

Infine, non si perda un giro del centro storico, curato, pulito, con piante e fiori un po’ dappertutto, per arricchirsi dentro come ebbe a dire Goethe: “La cascata colà, con le rovine e con tutto l’insieme del paesaggio, sono cose la cui conoscenza ci arricchisce nel più profondo dell’anima”. Vicino al Duomo (consigliata una sosta al ristorante La Forma, dove si è accolti da Annarita, simpatia e cibo genuino assicurato) c’è l’antico lavatoio pubblico. A suo tempo, era già un “luogo pink”, tanto che su una facciata si legge: “è proibito l’ingresso agli uomini standovi le donne”. Pure Eva, ne sarebbe stata contenta.