Proprio nelle stesse ore in cui la premier Meloni era in Algeria per rivendicare in ruolo dell’Italia come “hub europeo del gas”, a Parigi i leader di Francia e Germania si autocelebravano come “locomotive” del Vecchio Continente. Tra le intese annunciate da Macron e Scholz nel corso del vertice anche quella relativa al gasdotto H2Med che collegherà Portogallo, Spagna, Francia e Germania rifornendole di idrogeno verde entro questo decennio (con una capacità di trasporto di due milioni di tonnellate a regime). Intanto la Germania lavora da mesi per essere lei l’hub del gas naturale: nei suoi porti sul Mare del Nord ha già installato tre rigassificatori e altri 11 sono in via di allestimento. Viene allora da chiedersi se le politiche energetiche europee (quelle a breve termine, che necessariamente puntano ancora pesantemente sui combustibili fossili, e quelle di lungo respiro che dovrebbero portare a una completa decarbonizzazione dell’economia) siano in qualche modo concordate, o se invece si stia procedendo in ordine sparso.

Fact checking

Quanto gas c’è davvero in Italia e nei suoi mari

di Laura Loguercio (Pagella Politica)

“Purtroppo non c’è alcun coordinamento”, spiega Luca Bergamaschi, cofondatore del think thank climatico Ecco. “E’ il risultato è quello a cui stiamo assistendo in queste ore: iniziative che sono il frutto di logiche nazionali in cui ognuno cerca di ritagliarsi un ruolo in uno scenario di competizione commerciale”. Secondo Bergamaschi, il peccato originale va ricercato dell’incapacità della Commissione Ue di dire una parola chiara sul gas naturale quando fu varata la tassonomia green: una ambiguità interpretata come un ‘liberi tutti’, aggravato dalla crisi energetica innescata dall’invasione russa dell’Ucraina. Da lì è partita una caccia al gas per sostituire quello di Mosca.

Ma il problema, più che dal gas, è rappresentato dalle infrastrutture, soprattutto in un’ottica di politiche climatiche. Se si brucia gas algerino o gas liquefatto americano, al posto di una pari quantità di gas russo la CO2 emessa non cambia. Ma se per farlo occorre costruire nuovi gasdotti o nuovi rigassificatori, l’impatto ambientale cresce a dismisura. “Da questo punto di vista, la candidatura italiana ad hub europeo del gas mostra diversi vantaggi”, dice Bergamaschi. “Il nostro Paese può già vantare una rete di gasdotti che risalgono la penisola e che la connettono al resto d’Europa. Anche se va verificata la fattibilità del reverse flow”. Già, perché le condotte che arrivano in Italia da Francia, Svizzera e Austria al momento portano il gas “in” Italia. E non è detto che si possa invertire il flusso senza importanti modifiche degli impianti. “Inoltre”, aggiunge il cofondatore di Ecco, “c’è chi immagina di approfittare della fame europea di gas per costruire in Italia la dorsale adriatica o nuovi rigassificatori, o ancora per cercare e sfruttare nuovi giacimenti nell’area del Mediterraneo. Se diventare l’hub europeo del gas significa questo, allora non ci siamo. Anche perché le proiezioni dell’Unione europea ci dicono che il consumo di gas naturale crollerà del 40% nei prossimi 7 anni: il rischio è costruire in Italia (ma anche in Germania) una serie di infrastrutture che diverranno presto obsolete”.

Ma riuscirà l’Italia ha ritagliarsi il ruolo di esportatore di gas naturale verso l’Europa centrale e dell’Est come auspica la presidente del Consiglio? “Solo se il governo saprà formulare una proposta politica forte che sia anche la più competitiva: ‘mettiamo a disposizione le nostre infrastrutture già esistenti per portare il gas algerino anche a voi'”, risponde Bergamaschi. Resta un altro interrogativo: il gas algerino basterà a sostituire in tutta Europa quello russo? “In una prima fase, fino al 2024-2025, lo dovremo usare in Italia. Successivamente lo potremo ‘esportare’. Ma avremo dovuto nel frattempo ridurre i nostri consumi e aver aiutato l’Algeria a diventare più efficiente, in modo che non debba estrarre più gas di quanto ne prelevi oggi dai suoi giacimenti. Magari sostenendo la sua transizione verso le fonti rinnovabili, con un doppio vantaggio: il Paese nordafricano si preparerebbe al futuro e potrebbe rinunciare al suo fabbisogno di gas per venderlo agli europei”.

Il dettaglio è esplicitato proprio in una analisi pubblicata da Ecco in queste ore. “Il gasdotto che collega l’Algeria all’Italia, via Tunisia, ha una capacità non utilizzata che permetterebbe di assorbire 7 milioni di metri cubi (mmc) addizionali degli accordi del governo Draghi (previsti 9 in totale al 2024, di cui 2 consegnati nel corso del 2022). Inoltre, l’Algeria ha un enorme potenziale di recupero del gas di scarto (“flaring” – equivalente al 23% di approvvigionamento addizionale di gas non-russo), che altrimenti finirebbe in atmosfera, per oltre 13 mmc. Se poi si aumentasse in un anno la quota di rinnovabili nel sistema elettrico algerino, raggiungendo una penetrazione di rinnovabili del 15% attraverso 14 GW di impianti solari ed eolici, si libererebbero ulteriori 3 mmc di gas per l’export. Queste azioni permetterebbero all’Algeria di aumentare l’export di gas senza espansione del settore fossile”.