“Stiamo valutando se ridurre l’orario di accensione dei termosifoni o la temperatura massima nelle città italiane”. Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci interviene nel dibattito innescato dall’invito del direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia Fatih Birol e di molti altri analisti che osservano con preoccupazione la crisi energetica legata dal conflitto in Ucraina: abbassare la temperatura dei termosifoni di un grado per risparmiare gas e dipendere meno dalle forniture russe. “Come sindaci stiamo verificando anche le opzioni offerte dalle nuove tecnologie. Per risparmiare energia, in alcune città come la mia, dotate di regolatori di potenza, si potrebbe ridurre l’intensità dell’illuminazione pubblica in alcune ore della notte. Per quanto riguarda il riscaldamento dobbiamo invece comprendere quali margini di azione ci lascia la normativa dello Stato che regola temperature e orari“, conclude il presidente dei sindaci italiani.

Vediamo allora cosa prevede la legge italiana in proposito.

La temperatura massima

È stabilita dal Decreto del Presidente della Repubblica numero 74 del 16 aprile 2013: per le abitazioni private prevede una temperatura massima di 20 gradi (con una tolleranza di due gradi per eventuali imprecisioni dei termostati), mentre per le attività imprenditoriali e artigianali prescrive 18 gradi. Non si prevedono differenze a seconda delle differenti aree geografiche, differenze che invece si concentrano sul periodo stagionale di accensione-spegnimento e sulle ore quotidiane di accensione.

I periodi di accensione

Sono codificati nella tabella contenuta nell’allegato A del Decreto del Presidente della Repubblica del 26 agosto 1993, n. 412. Che divide l’Italia in sei “zone climatiche”: dalla Zona A che include Lampedusa, Sud e Isole, alla Zona F (Trento e zone alpine). Nelle aree più calde i termosifoni si possono tenere accesi dal primo dicembre al 15 marzo, per un massimo di 6 ore al giorno. Nella Zona F, al contrario, il periodo non ha alcune limite così come le ore giornaliere di accensione.

Sono tuttavia i singoli Comuni che decidono l’orario preciso di accensione dei riscaldamenti condominiali, sempre però in osservanza del regolamento generale nazionale sulle ore in cui i termosifoni posso rimanere accessi nelle diverse zone di Italia.

Le eccezioni

La normativa tuttavia dà alle amministrazioni comunali la possibilità, in caso di condizioni meteorologiche avverse o eventi climatici straordinari, di prorogare l’accensione degli impianti anche in periodi diversi da quelli ordinari. Purché la durata giornaliera non superi la metà di quella consentita in via ordinaria.

Per quanto riguarda la temperatura, il Decreto presidenziale 74 del 2013 prevede anche che “i sindaci, con propria ordinanza, possono ampliare o ridurre, a fronte di comprovate esigenze, i periodi annuali di esercizio e la durata giornaliera di attivazione degli impianti termici, nonché stabilire riduzioni di temperatura ambiente massima consentita sia nei centri abitati sia nei singoli immobili”.

Non ci troviamo (ancora) in una crisi climatica, ma siamo nel pieno di una crisi energetica. E allora i Comuni italiani potrebbero intervenire disponendo con loro ordinanze una riduzione della temperatura o del numero di ore in cui il riscaldamento può restare acceso. “Non sarebbe una novità assoluta: la riduzione da 20 a 19 gradi è stata già messa in atto negli anni scorsi da alcune città per ridurre l’inquinamento da particolato presente nell’aria”, ricorda Nicolandrea Calabrese, responsabile del Laboratorio efficienza energetica negli edifici dell’Enea.

“Ridurre di un grado la temperatura interna comporta un risparmio energetico che oscilla dal 5% al 10%, a seconda delle zone climatiche. È chiaro che si ha un effetto maggiore laddove i termosifoni sono accesi 12 ore e non 6. Ma dipende anche dall’efficienza energetica degli edifici e dunque dal loro isolamento. A titolo di esempio, nella zona climatica di Firenze, in edifici di classe energetica D (quindi medio-bassa) abbassare il termostato da 20 a 19 gradi produrrebbe un risparmio dell’8% di energia“.

Dunque il risparmio di gas e la parziale indipendenza dalle forniture russe, passa anche da possibili ordinanze comunali. “Negli edifici pubblici e nelle scuole si è tenuti a rispettarle, ma nelle abitazioni private si pone il problema dei controlli”, avverte Calabrese. “Chi va a controllare se il termostato è davvero su 19, anziché su 20? Tuttavia temo che, visti i rincari delle bollette, gli italiani decideranno spontaneamente di abbassare le temperature in casa, senza bisogno di imposizioni normative”.