Non solo noi animali, anche le piante si ammalano e sono soggette a epidemie importanti. È il caso dovuta al batterio Xylella, e precisamente alla specie Xylella fastidiosa, scoperto nel 2013, che da allora, negli ultimi anni, ha ucciso milioni di ulivi in Puglia. Un gruppo di ricerca internazionale, di cui fa parte il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), ha svolto un ampio studio genomico ed è riuscito a individuare l’origine del contagio. Il batterio killer, già noto per essere presente e diffuso in alcuni territori dell’America centrale, è arrivato in Italia molto probabilmente dal Costa Rica, attraverso una pianta del caffè. L’episodio è avvenuto intorno al 2008, con i primi casi riportati dagli agricoltori italiani nel 2010 – un periodo di incubazione compatibile col patogeno in questione. I risultati sono pubblicati sulla rivista Microbial Genomics.

Analizzare il DNA del batterio

Si tratta della prima epidemia in Europa legata a questo patogeno, in precedenza assente, come spiegano i ricercatori. Gli scienziati hanno ripercorso le tappe temporali della diffusione del batterio, grazie a una dettagliata analisi genetica. Le indagini, svolte fra il 2013 e il 2017, hanno incluso campioni di ramoscelli da più di 70 alberi di ulivo, in Puglia, colpiti dal disseccamento rapido. “Abbiamo studiato il DNA batterico”, racconta la coautrice Maria Saponari, ricercatrice dell’Istituto per la protezione sostenibile delle piante del Cnr, a Bari, “e abbiamo poi comparato queste informazioni con quelle provenienti da una banca dati dell’America centrale, dove la sua presenza in alcune piante era già nota”.

Dal caffè in Costa Rica all’uliveto in Puglia

I ricercatori hanno individuato forti somiglianze nel DNA della xylella presente in Italia con un ceppo analizzato in Costa Rica, mentre le mutazioni erano poche. “Questo ci fa concludere che ci l’introduzione sia legata proprio al ceppo costaricano”, specifica l’esperta. “Inoltre, già sapevamo che nell’America centrale il batterio colpisce alcune piante di caffè e oleandro, ma soltanto il caffè viene importato in Europa”. Dunque, in questo caso il vettore è stato il caffè. Fortunatamente, poi, sembra esserci stata un’unica introduzione del ceppo in Italia. Per affermarlo i ricercatori si sono basati sempre sulle analisi genetiche, in particolare sull’albero filogenetico – un po’ come il nostro albero genealogico – di Xylella fastidiosa, che ne descrive l’evoluzione (genetica) nel tempo. “Le mutazioni non sono numerose e non sembrano associate a episodi di introduzione differenti”, chiarisce Saponari, “inoltre in base alla valutazione del tasso medio di mutazione del batterio, con buona probabilità il contatto risulta avvenuto nel 2008”.

Alla ricerca della cura

Ora gli scienziati stanno approfondendo il comportamento del batterio, per esempio come cambia e come potrebbe rispondere a eventuali trattamenti, insieme alle caratteristiche genetiche delle piante, per capire quali individui sono più resistenti all’infezione. L’obiettivo futuro è studiare ceppi mutati di Xylella per individuare nuovi bersagli terapeutici. “Il problema è che in Italia mancano impianti con apposite strutture per la quarantena“, aggiunge Saponari, “e che, per ragioni normative, ad oggi non è possibile manipolare questi organismi. L’auspicio è di proseguire la ricerca e di condurre l’analisi all’estero, come già in parte avvenuto in questa fase del lavoro”.

Diversamente da Covid, per la xylella fastidiosa non ci sono vaccini. “Stiamo studiando composti che potrebbero avere un effetto terapeutico sulle piante”, prosegue la scienziata, “ma la ricerca in questo ambito è ancora agli inizi. Inoltre, abbiamo individuato due varietà di ulivo più resistenti alla malattia, che possono essere ripristinate nei terreni colpiti e utilizzate per rigenerare i territori devastati dalla xylella”. In questo caso la strategia di diffondere gli ulivi resistenti è simile a quella adottata per Covid: rendere più resiliente la popolazione attraverso la vaccinazione e aumentare la quota di persone vaccinate.

Una quarantena per le piante malate

Xylella fastidiosa è un batterio molto trasmissibile e insidioso che causa forti alterazioni della pianta colpita, potenzialmente fatali. L’aggettivo fastidiosa è invece legato alla difficoltà di coltivarlo in laboratorio. Inoltre, c’è una sottospecie, detta pauca – quella che ha colpito gli ulivi in Puglia – responsabile di una gravissima fitopatologia, chiamata complesso del disseccamento rapido dell’ulivo (CoDiRo), una forte minaccia per l’intero comparto della coltivazione dell’ulivo. La connessione fra Xylella fastidiosa nella sottospecie pauca e questa patologia è stata dimostrata da solide prove raccolte negli anni.

Attualmente l’epidemia è ancora in atto, anche se procede con una velocità ridotta. Un po’ come per la pandemia di Covid, sono state messe in atto misure protettive per impedire la diffusione dell’epidemia nonché l’arrivo di altre piante malate da zone a rischio per la xylella fastidiosa. “Si va dal blocco dell’importazione delle piante del caffè dal Costa Rica e dall’Ecuador, dove questa infezione è endemica”, aggiunge Saponari, “fino alla quarantena per le piante malate o a rischio”.

Oltre a pauca, c’è anche un’altra sottospecie, detta multiplex, che però è molto meno aggressiva. “Questa – conclude la ricercatrice – è stata rintracciata in Toscana, nella zona del Monte Argentario, e vicino a Canino, un comune nel Lazio in provincia di Viterbo”. Speriamo che anche grazie alle restrizioni e al monitoraggio non ci siano nuove epidemie e nuove introduzioni in Italia e in Europa.