Dentro al cibo in scatola che date ai vostri cani e gatti potrebbero esserci tracce di squalo, perfino di specie che rischiano l’estinzione. Nelle confezioni di diversi prodotti destinati ad animali domestici, soprattutto nel mercato asiatico, viene spesso riportata la dicitura contenente “pesce” o “pesce di oceano”. Alcuni ricercatori dello Yale-NUS College di Singapore hanno però voluto vederci chiaro,  grazie all’aiuto del DNA, per capire quale fosse il pesce indicato. In un paper pubblicato su Frontiers in Marine Science hanno così elencato risultati soprendenti: un terzo di quel pesce era carne di squalo.

 

Gli scienziati grazie al sequenziamento genetico hanno analizzato circa 45 prodotti alimentari per animali domestici di 16 marchi diversi, molti dei quali reperibili facilmente nel mercato di Singapore. Quasi tutti riportavano termini generici con riferimento a tracce di pesce nel contenuto, alcuni parlavano nel dettaglio di presenza di tonno o salmone e altri non avevano apportato nessuna dicitura.

 

È risultato che su 144 campioni prelevati e sequenziati, circa un terzo (45) contenevano Dna di squalo.  Per gli esperti si tratta di carne di squalo blu, ma anche squalo seta, oppure del pinna bianca del reef o dello squalo tigre della sabbia, specie che sono considerate “vulnerabili” o minacciate secondo le indicazioni della famosa Lista Rossa Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura).

Dunque, a cani e gatti viene data una “pappa” che contiene anche carne di animali che lottano per la sopravvivenza. In particolare oggi gli squali soffrono pesantemente per la pratica del finning, il sistema – condannato con una petizione di oltre 1, 2 milioni di firme di cittadini – con cui vengono asportate le pinne, per poi spesso rilasciare in mare gli squali ancora in vita e destinati alla morte.

La richiesta delle pinne, considerate prelibate per la zuppa soprattutto in Asia, sta spingendo ad uccidere sempre più squali nel mondo, toccando cifre di 100 milioni di esemplari uccisi all’anno. Secondo i ricercatori è probabile che gli scarti dello squalo, ovvero la carne non venduta e quella non relativa alle pinne, siano sempre più usati come fonti proteiche mescolate all’interno di cibi per animali domestici.

 

Molti consumatori ignorano questo, ricordano gli esperti: “La maggior parte dei proprietari di animali domestici sono probabilmente amanti della natura e pensiamo che molti di loro sarebbero allarmati nello scoprire che potrebbero contribuire inconsapevolmente alla pesca eccessiva delle popolazioni di squali”.

Per questo motivo i ricercatori di Singapore spingono affinché vengano realizzate etichettature degli ingredienti dettagliate, in cui viene specificata l’esatta specie usata e non un generico “pesce”.  Con il declino delle varie specie di squalo di oltre il 70% negli ultimi 50 anni, per gli scienziati è un atto necessario per aiutare le politiche di conservazione di questi animali ed è ancor più grave siano state usate specie in forte declino.

 

Oltre a sovrapesca, reti fantasma, plastica, impatti della crisi climatica e perdita di habitat, gli squali sono anche minacciati dal loro uso sempre più frequente in vari prodotti. Tracce di squalo in precedenti ricerche sono state trovate anche in cibi per il consumo umano, come alcuni snack, ma vengono utilizzate anche per cosmetici come quelli per la cura del corpo e, appunto, in cibi per gli amici a quattro zampe.

 

“Dati i risultati di un precedente studio condotto negli Stati Uniti, volevamo vedere se gli squali in via di estinzione fossero venduti anche nel cibo per animali – hanno precisato gli scienziati – ma nessuno dei prodotti acquistati che abbiamo esaminato elencava lo squalo come ingrediente”.

In alcuni casi sono state trovate tracce anche di squalo seta che è elencato nella lista della Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (Cites) e dunque il suo commercio dovrebbe essere controllato per evitare un consumo eccessivo che minaccerebbe la sopravvivenza della specie.

In conclusione, gli esperti sollecitano ancora una volta a una maggiore trasparenza nelle etichette degli ingredienti dei prodotti alimentari per animali domestici: sono convinti che  evitare vaghi termini generici consentirebbe ai consumatori di fare scelte di acquisto consapevoli evitando così una ulteriore pesca eccessiva degli squali.