Un’agricoltura marina al posto di quella terrestre. L’idea di portare nel piatto le alghe circola da tempo, seducendo cuochi e consumatori alla ricerca di nuovi (almeno dalle nostre parti) sapori e proprietà benefiche. Ma le alghe potrebbero dare un aiuto a rendere più sostenibile il cibo che mangiamo, e contribuire a sfamare una popolazione in continua crescita. A ribadirlo nei giorni scorsi è stato il lavoro di alcuni esperti che hanno stimato quanta terra e quante emissioni si riuscirebbe a risparmiare investendo su coltivazioni di alghe. I dettagli su Nature Sustainability.

La premessa dei ricercatori australiani è che le alghe sono un prodotto estremamente versatile: possono essere cibo per noi, per gli animali ma possono essere sfruttate anche per la produzione di biocarburante. Che succederebbe sostituendo o integrando le produzioni di questi settori con la coltivazione di alghe? È questo quello che hanno analizzato gli esperti, immaginando diversi scenari in cui le alghe contribuiscono per un tot alla produzione di cibo, di mangimi o di biofuel, e stimando i guadagni ambientali corrispondenti. Per farlo hanno prima di tutto cercato di stimare l’area potenzialmente sfruttabile in mare per la coltivazione di alghe.

Oltre trenta le specie considerate (si va dall’Ulva clathrata, lactuca e reticulata, alla Caulerpa racemosa e lentillifera, all’Asparagopsis armata e taxiformis, solo per citarne alcune), che nel complesso potrebbero proliferare in circa 650 milioni di ettari marini (quelli realmente potenzialmente coltivabili). Gran parte di queste, ha spiegato Scott Spillias della University of Queensland e primo autore della ricerca, si trovano in Indonesia e Australia, ma anche alcune zone europee, della Malesia, della Cina e della Corea del Sud promettono bene. Meno, a sorpresa considerandone le tradizioni, il Giappone, notano gli autori.

Ciò detto i risparmi che si avrebbero investendo sulle alghe sarebbero questi: 150 milioni di ettari in meno destinati all’agricoltura includendo le alghe per un 10% nella produzione di mangimi e cibo, e per un 50% per quella di biocarburante.

In gran parte il risparmio di terra sarebbe imputabile solo alle sostituzioni per il nostro cibo. Integrare l’uso delle alghe in tutti questi campi contribuirebbe anche a ridurre le emissioni associate, anche se in questo caso i guadagni maggiori si avrebbero introducendo per una piccola percentuale l’alga rossa Asparagopsis nella dieta dei ruminanti: meno 2,6 gigatonnellate di CO2 equivalente l’anno (in gran parte per riduzione delle emissioni di metano e una migliore efficienza di conversione alimentare).

L’alga rossa infatti è ben nota per la capacità di ridurre le emissioni di metano nei bovini. Guadagni importanti in termini di risparmio d’acqua e di fertilizzanti si avrebbero anche solo sostituendo il 10% delle entrate energetiche alimentari con le alghe, più di quanto si avrebbe con la stessa cifra per i mangimi o con il 50% per la produzione di bioenergia, aggiungono gli esperti.