“Quando vivi un’avventura in posti così remoti e incontaminati, come la Kamchatka, non puoi non notare quello che ti accade intorno”. Le parole di Omar Di Felice, ultracyclist romano di 40 anni ed ex ciclista professionista con il mito di Marco Pantani, arrivano da uno degli angoli più remoti e freddi della Terra. È appena partito per il suo Arctic World Tour ed entro fine marzo avrà macinato 4.000 km per toccare con mano gli effetti del cambiamento climatico che sta sciogliendo i ghiacci più resistenti.

“L’ultracyclism è un ciclismo estremo con gare non stop. L’ho scelto perché è una ricerca del proprio limite, un viaggio esplorativo che mette a nudo. Ti rende in grado di capire la macchina umana e di come la mente può controllare il corpo”, dice Di Felice. In questo viaggio però non c’è solo la prestazione sportiva, ma l’idea di veicolare un messaggio ambientalista attraverso la bici, il mezzo più ecologico. “A un certo punto della mia carriera – spiega – ho cominciato a pensare al ciclismo non soltanto come raggiungimento di quelli che sono i miei obiettivi sportivi personali. Quello che mi prefiggo di ottenere non è solo un record, ma anche qualcosa che riguarda il punto di vista umano e sociale: mi interessa mettere l’accento sulle criticità che stanno subendo molte zone del mondo”.

Il freddo polare non è una novità per Di Felice. Ha già pedalato in zone estreme come il Canada, Capo Nord, Alaska, Islanda, ha raggiunto il campo base dell’Everest e per primo ha attraversato nella stagione fredda il Deserto del Gobi, in Mongolia. Ma ora questa nuova sfida lo ha portato a guardare da vicino il Pianeta che cambia. “Anche quest’anno è stato l’anno più caldo in Kamchatka. Se fossimo più resilienti, più capaci di adattarci a situazioni come il freddo intenso, invece di cercare prima di tutto la comodità, la nostra società sarebbe meno fragile e noi potremmo imparare a ridurre la nostra impronta ambientale. Inoltre la bicicletta, che ha un impatto pari a zero e permette di muoversi in maniera leggera, è un simbolo fondamentale della lotta al cambiamento climatico”.

L’Arctic World Tour fa parte di Bike to 1.5 ºC un progetto il cui scopo è quello di usare le avventure come piattaforma per condividere informazioni su quel che sta accadendo al nostro Pianeta. La prima puntata è stata il viaggio da Milano a Glasgow in occasione di Cop26, 2.000 chilometri in sette giorni, una media di 285 al giorno. Oltre a pedalare, Di Felice ha sfruttato questa occasione per confrontarsi con esperti di clima, energia e sostenibilità che porta sui social media insieme alle sue ruote.

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“Per poter prendere pienamente coscienza di un problema dobbiamo assolutamente avere in mano la sua spiegazione e questa può essere affrontata solamente con l’aiuto degli scienziati. Io ho deciso quindi di aiutare il mondo della scienza a divulgare le tematiche ambientali. Mi affido a persone che siano in grado di spiegare innanzi tutto il problema e poi che possano raccontare quali sono gli strumenti che permettono di porre in atto soluzioni”, spiega. Per questa impresa si è affidato a Italian Climate network, associazione che si occupa di divulgazione sui temi ambientali. Le linee di confine dell’Artico, il monitoraggio dei ghiacci, gli interessi geopolitici dei territori artici, la biodiversità sono alcuni dei temi che via via affronterà nelle interviste su YouTube e Facebook con Giorgio Vacchiano, docente di Scienze e tecnologie dei sistemi arborei e forestali all’Università Statale di Milano, Stefano Caserini, docente di Ingegneria Civile e Ambientale al Politecnico di Milano, Valeria Barbi, coordinatrice del Progetto clima e sostenibilità dell’Unione Europea.

Di Felice attraverserà il circolo polare artico, la linea delle isoterme +10°C e la linea artica degli alberi. Da qui volerà in Lapponia e proseguirà per oltre 1500 km tra Finlandia, Svezia e Norvegia. Quindi raggiungerà le isole Svalbard, dove toccherà il punto più a Nord. In Islanda e in Groenlandia Omar percorrerà l’Arctic Circle Trail, un sentiero di oltre 200 km che si snoda dal Point 66 (a 40 km da Kangerlussuaq) ai margini dell’ice cap groenlandese e il villaggio di Sisimiut.

Infine si sposterà nel continente americano pedalando dal Canada all’Alaska e qui terminerà a fine marzo. “È un viaggio che ha parecchie difficoltà logistiche e mi sposto in autonomia con le mie borse sulla bicicletta. Alle Svalbard, per fronteggiare la neve, userò una fat bike chiodata che richiede molta attenzione nella guida. Nonostante il riscaldamento globale, capita di pedalare al freddo, a 10-20 °C sotto zero. Una sfida. Ma è proprio perché i cambiamenti non sono sempre visibili a occhio nudo che ho deciso di portare l’attenzione non solo sulle mie gambe, ma anche sui contenuti che gli studiosi del clima possono portare alla luce”, conclude Di Felice.

Il documentario

Sei italiani e il clima che cambia: “Il nostro lockdown alla deriva fra i ghiacci del Polo Nord”

di Jaime D’Alessandro ,  infografica e animazione di Paula Simonetti ,  sviluppo di Angel Patricio Susanna