Molti programmi di piantumazione lanciati negli ultimi dieci anni sono, almeno in parte, falliti. Oltre allo spreco di risorse, secondo alcuni scienziati l’esito negativo di questi progetti rischierebbe di minare la loro credibilità, compromettendo la fiducia degli enti e delle persone nella loro utilità. Ma se è vero che la deforestazione, lo sfruttamento del terreno, la cementificazione e la riduzione degli spazi verdi nelle città hanno contribuito alla situazione climatica che ci troviamo ad affrontare oggi, è altrettanto vero che non possiamo pensare che piantare alberi risolva il problema dell’anidride carbonica in atmosfera.

Ne parla il giornalista Fred Pearce su Yale Environment 360, mettendo in fila una serie di esempi in cui emergono tutte le criticità associate a questi progetti. E sottolinea come, per funzionare, debbano essere supportati da una pianificazione dettagliata, che comprenda lo studio del territorio, il monitoraggio e la cura a lungo termine delle regioni piantumate.

Perché piantare alberi è utile

Scuole, comuni, campagne politiche e aziendali: sempre più spesso si sente parlare di progetti e si organizzano giornate per piantare nuovi alberi. La prima grande sfida a livello globale, in questo senso, risale al 2011, quando molti governi del mondo hanno firmato la Bonn Challenge, un accordo che prevedeva di piantare a livello globale, entro il 2030, foreste per una superficie complessiva di 150 milioni di ettari, più grande dell’India. Una quantità che avrebbe assorbito dall’atmosfera circa 1.7 miliardi di tonnellate di anidride carbonica ogni anno.  L’anno scorso, al termine del G20 i leader mondiali del vertice hanno sottoscritto l’impegno di piantare collettivamente mille miliardi di alberi entro il 2030, concentrandosi sugli ecosistemi più degradati del Pianeta.

Fact Checking

A che punto siamo con la promessa di mille miliardi di alberi del G20

di Laura Loguercio (Pagella Politica)

La riforestazione non servirebbe soltanto ad abbassare il livello di CO2 nell’atmosfera. Oltre a questo, il vantaggio di piantare nuovi alberi e di combattere la deforestazione in generale, è che le piante producono ossigeno, puliscono l’aria, proteggono il suolo rendendolo più stabile e prevenendo gli eventi franosi e l’erosione del terreno. Aumentare le aree verdi nelle città, inoltre, contribuisce a mitigare l’effetto isola di calore, abbassando localmente le temperature. Senza contare che alcuni studi hanno dimostrato, durante la pandemia ad esempio, che chi viveva in prossimità di aree verdi soffriva meno di depressione e aveva una reazione psicologica migliore alle difficoltà del periodo.

Il caso delle mangrovie in Filippine e Sri Lanka

Tuttavia molti progetti di piantumazione non sono andati a buon fine. Emblematico il caso avvenuto una decina di anni fa nell’isola di Luzon, la più grande e popolosa delle Filippine. Più di un milione di mangrovie era stato piantato in circa un’ora da un esercito di volontari locali, un risultato che ha fatto segnare il record mondiale. In questi dieci anni, però, lungo le coste in cui questi alberi sono stati piantati non è cambiato nulla: meno del 2% è sopravvissuto. Il 98%, invece, non è mai nato o è stato spazzato via dal terreno fangoso. A detta di alcuni esperti, un esito che poteva essere previsto.

 

Pochi anni dopo, il governo dello Sri Lanka ha lanciato un programma di piantumazione massiccia di mangrovie lungo le coste per cercare di prevenire il ripetersi dell’esito disastroso dello tsunami dell’Oceano Indiano del 2004. Anche in questo caso, in nove dei 23 siti in cui è avvenuta la piantumazione non è sopravvissuta alcuna pianta e solo tre siti hanno avuto una percentuale di sopravvivenza intorno al 50%.

Perché i nuovi alberi non sopravvivono

Progetti come quelli descritti sopra e altri, secondo gli esperti, hanno almeno due problemi di fondo. Il primo è che non sono supportati da un adeguato studio del territorio prima della piantumazione, il secondo che non è prevista una fase di cura e monitoraggio a lungo termine, in grado di garantire la riuscita dell’operazione.

Cominciamo dal primo. Occorre, prima di procedere a piantare degli alberi, considerare l’habitat in cui questi vengono inseriti (se piantati in una regione in cui prima non ce n’erano, ad esempio, ne alterano l’ecosistema e la probabilità che falliscano aumenta). Se piantati in regioni in sofferenza dal punto di vista delle precipitazioni, invece, si comportano come gli esseri viventi e non producono ossigeno, non crescono, le foglie che si occupano della fotosintesi non si sviluppano.

Il secondo fattore che può compromettere la riuscita di un progetto di piantumazione è che, troppo spesso, agli sforzi e agli investimenti impiegati nella prima fase non segue un altrettanto accurato periodo di cura e monitoraggio per i nuovi alberi, e le piante vengono lasciate a loro stesse. E la motivazione potrebbe essere che i progetti e i finanziamenti durano troppo poco per riuscire a seguire l’effettiva riuscita e la crescita delle piante.

Alcuni rischi: dai carbon credits agli incendi

Si generano così sempre più “foreste fantasma”, che contribuiscono a loro volta a sabotare gli sforzi per contenere il cambiamento climatico. Accade, ad esempio, quando i piantatori rivendicano il presunto assorbimento di carbonio da parte delle foreste in crescita come crediti di carbonio. Se tale parametro risulta certificato da enti affidabili, questi crediti possono essere conteggiati ai fini del raggiungimento degli obiettivi nazionali di emissione da parte dei governi o venduti agli inquinatori industriali per compensare le loro emissioni. Si tratta di un vero e proprio mercato che si è messo in moto per rispettare la promessa di raggiungere emissioni “nette zero”. La posta in gioco è sempre più alta e, con essa, il rischio che vengano impiegate strategie di questo tipo.

A sabotare la riuscita di questi programmi, però, c’è anche il cambiamento climatico stesso. L’aumento del rischio di incendi, ad esempio. Negli Stati uniti, impegnati in molti progetti di piantumazione, si stima che il rischio di incendi aumenterà molto a causa dei cambiamenti climatici. Per questo occorre pianificare gli interventi di questo tipo considerando anche il luogo in cui agire, la sua storia e il suo destino. E investire anche sulla protezione delle foreste esistenti, o favorire la rigenerazione naturale, ponendole sullo stesso piano della piantumazione. Infine, pensare che per risolvere il problema dell’anidride carbonica in atmosfera basti piantare degli alberi rischia di diventare una soluzione semplicistica al problema. Anche perché, dice uno studio pubblicato su Frontiers in Forests and Global Change riguardo le piantumazioni in programma negli Stati uniti, bisognerebbe piantare molti più alberi. E il rischio più grande è quello di perdere di vista il problema nella sua complessità e rifugiarci dietro soluzioni apparentemente semplici che, rispetto ad altre, costano poco sforzo.