All’inizio del 2009 sull’Unità uscì una intervista a Rita Levi Montalcini. La scienziata in quei giorni era richiestissima: di lì a poco avrebbe compiuto 100 anni e avevo convinto Paolo Giordano ad incontrarla per la storia di copertina del primo numero di Wired. Ero quindi curiosissimo di leggere cosa la scienziata avesse detto a Concita De Gregorio, che all’epoca dirigeva, appunto, l’Unità. Era una intervista storica, a una persona che sta per superare il traguardo del secolo in vita e ad un certo punto arrivò la domanda fatidica: “Quale è stata secondo lei la più grande invenzione del secolo?”. E Rita Levi Montalcini rispose: “E me lo chiede? Internet”. Era una risposta stupefacente per l’Italia del 2009 che aveva messo fuori legge il wifi pubblico e continuava a rinviare gli investimenti sulla banda banda larga lasciando senza rete vaste aree del Paese. Ed era ancora più stupefacente perché veniva da una scienziata che si era occupata tutta la vita di biologia e non di informatica. Ma era una risposta geniale. “Internet!”.

Questo episodio mi è tornato in mente scorrendo la grande ricerca che SWG ha fatto per Italian Tech in occasione del Safer Internet Day 2023. Tema: gli italiani e gli smartphone. Il tutto ha preso le mosse da una sconcertante relazione di una commissione d’inchiesta del Senato della passata legislatura, che aveva concluso affermando che gli smartphone creano dipendenza “come la cocaina” e che i giovani sono “decerebrati” per il troppo uso che ne fanno. Il tutto senza citare una fonte, un dato, qualcosa che potesse supportare una tesi così netta. La relazione era stata ignorata da tutti, tranne che dal nuovo ministro dell’Istruzione e del Merito che l’aveva citata per ribadire il divieto di smartphone a scuola. Ma se davvero quelle frasi fossero state prese sul serio, gli smartphone avremmo dovuto vietarli sempre, non solo a scuola.

La ricerca SWG, che qui presentiamo, punta a capire come li usiamo, gli smartphone, per cosa li usiamo e con quali effetti. Ma la prima domanda è una domanda introduttiva: qual è stata la più grande innovazione/invenzione della storia?

La risposta avrebbe fatto piacere a Rita Levi Montalcini: vince Internet, davanti ai vaccini e gli antibiotici, poi il computer, la lampadina e lo smartphone (che quindi batte tv, radio, aeroplano e treno, per citarne alcuni). Già questo ci dice molto sulla considerazione di questo strumento per il quale è difficile individuare un unico inventore mentre non vi è alcun dubbio su chi sia stata la persona che ha capito che uso ne avremmo fatto realizzando il prodotto tecnologico che ha cambiato il mondo come nessun altro negli ultimi quindici anni: Steve Jobs, che lanciò l’iPhone il 9 gennaio 2007. Da allora è cambiato tutto. Nel 2007 vennero venduti in tutto 122 milioni di smartphone; dal 2014 si è superato il tetto del miliardo di unità l’anno e da allora ogni anno se ne aggiungono circa un miliardo e mezzo. In pratica un abitante della Terra su sei ogni anno cambia telefonino.

Ma torniamo all’Italia. Per tre italiani su quattro lo smartphone ci migliora la vita; tra i giovani questo dato è ancora più alto ma in ogni caso quelli che pensano che invece ce la peggiori – come i senatori del rapporto citato all’inizio – sono il 17 per cento.

Per cosa esattamente ci migliora la vita? Qui le risposte si fanno interessanti: in testa, l’accesso alle informazioni. Uno sta sempre con il telefonino? Magari sta leggendo un quotidiano, o guardano il sito di una televisione, o sta studiando un qualche documento scientifico. Seguono, gli spostamenti (ovvero il fatto di potersi spostare e restare connessi); gli acquisti online, l’accesso ai servizi della pubblica amministrazione che finalmente in Italia è diventata digitale. E poi i servizi bancari (chi va ancora allo sportello?); il lavoro (lo smart working); la scuola (non solo la DAD); e l’intrattenimento ovviamente, inteso in senso lato, ci intratteniamo con lo smartphone anche per superare la noia a volte.

Ovviamente uno strumento con così tante funzioni essenziali è una parte di noi. Quelli che lo ritengono superfluo sono appena il 4 per cento. Gli altri lo utilizzano tutto il giorno: numeri di persone per nulla trascurabili lo usano come personal trainer, per gestire la dieta o tenere d’occhio i parametri vitali. E’ chiaro, persino scontato, che farne a meno è un problema: sono soprattutto i giovanissimi a dire che la cosa susciterebbe in loro noia, impazienza, tristezza e angoscia. Ma anche un baby boomer su due ammette che avrebbe “emozioni negative”. Perché? Per il timore di perdere i ricordi che lo smartphone custodisce, oppure i dati personali, i contatti in rubrica e più in generale non poter comunicare. In generale, quattro persone su dieci, si sentirebbero “tagliate fuori”.

Il tema della fruizione passiva vede una divisione netta fra giovani e adulti: la stragrande maggioranza della generazione Z dice di usarlo anche per noia, come ultimo gesto prima di dormire, per superare l’imbarazzo e a volte senza neanche accorgersene. Moltissimi dicono di spegnerlo o silenziarlo, per poter fare meglio un’altra cosa, come leggere un libro, scrivere, parlare con un amico; il 17 per cento delle persone invece non si stacca mai. Tra le azioni più usate c’è il fatto di disattivare le notifiche ma sono molti quelli che ricorrono alla modalità non disturbare in certe situazioni dimostrando di aver così raggiunto un rapporto equilibrato con questo strumento.

La questione dei figli piccoli è il vero punto di allarme di tutta la ricerca. Nonostante la legge imponga un limite di 13 anni per iniziare ad usare molti servizi digitali, il 75 per cento dei bambini fra 6 e 9 anni usa abitualmente uno smartphone. E’ un dato enorme che fa riflettere ancora di più incrociandolo con le risposte su quali forme di controllo i genitori esercitino: le funzioni di “parental control” per impostare limiti orari e tipi di app utilizzabili sono adottate solo da una famiglia su quattro; la maggior parte dei genitori di questi bambini si limita ad un “confronto per un uso più consapevole” senza porre alcun vero limite; il diciannove per cento dei genitori dicono che i loro bambini usano lo smartphone in totale autonomia. E’ un atteggiamento irresponsabile che non tiene conto dei pericoli che esistono in rete: è come lasciare un bambino solo in una piazza.

I dati non sono molto diversi nella fascia di età fra 10 e 13 anni dove la quasi totalità dei bambini/ragazzini ormai ha uno smartphone – tranne il 4 per cento; e sale molto il numero di coloro che lo fa “in totale autonomia”. Da 14 a 17 anni il “parental control” e resta solo, nel 24 per cento dei casi, un confronto per un uso consapevole.

In questo quadro in cui il vero problema sono i genitori di figli piccoli, non i ragazzi, la questione della dipendenza viene ricondotta entro binari ragionevoli. Lo smartphone non è paragonabile a cocaina, sigarette e gioco d’azzardo che sono vere patologie. E l’uso eccessivo riguarda tutti, non solo i giovani; e questo comporta il rischio di scarsa autostima, mancanza di empatia, depressione e alienazione; con una difficoltà a prendere decisioni e problemi di memoria che per la maggioranza delle persone riguarda anche gli adulti.

Al contrario gli studenti considerano lo smartphone un prezioso “alleato per approfondire e imparare”, o per ottimizzare i tempi, sbrigarsi a fare i compiti insomma; anche se la maggioranza delle persone, giovani compresi, ritiene che a scuola sia meglio non usarlo per non distrarsi.

Una produzione GEDI Visual

di Riccardo Luna, Annalisa D’Aprile, Claudio Campanella (Accenture MediaTech), Eva Csuthi (Accenture MediaTech) e Daniele Testa (Accenture MediaTech)