Per oltre un secolo i pastori Masai della Tanzania hanno condiviso la famosa area protetta del cratere di Ngorongoro con zebre, elefanti e gnu ma ora rischiano di essere allontanati poiché la loro crescita demografica rappresenta una minaccia per la fauna selvatica.

Dal 1959 il numero di esseri umani che vivono nella riserva Patrimonio dell’Umanità è balzato da 8.000 a più di 100.000 l’anno scorso. Il bestiame è cresciuto ancora più rapidamente, da circa 260.000 capi nel 2017 a oltre un milione di oggi.

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La Tanzania ha consentito alle comunità indigene come i Masai di vivere all’interno di alcuni parchi nazionali, ma il rapporto tra i pastori e la fauna selvatica può essere difficile quando ad esempio animali feroci attaccano persone e bestiame. La presidente tanzaniana Samia Suluhu Hassan, l’anno scorso ha lanciato l’allarme: “Stiamo perdendo Ngorongoro” e ha ordinato a funzionari di studiare come porre un freno alla migrazione nell’area. Da canto suo il primo ministro, Kassim Majaliwa, ha proposto un programma di trasferimento volontario nel distretto di Handeni, dove il governo ha stanziato 162.000 ettari per i pastori.


La comunità Masai è nettamente divisa sulla questione, con molti riluttanti a lasciare l’unico ambiente che abbiano mai conosciuto. La crescente presenza di bestiame – fra l’altro col rumore dei campanacci – allontana alcuni animali rappresentando una minaccia per l’industria del turismo che sviluppa quasi il 18% del Pil della Tanzania.

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Già nel 2009 migliaia di famiglie Masai erano state sfrattate da Loliondo, situata a 125 chilometri (75 miglia) dall’area protetta di Ngorongoro, ma solo per consentire alla compagnia di safari con sede negli Emirati Arabi Uniti, Ortelo Business Corporation (Obc), di organizzare lì battute di caccia. L’accordo von Obc si è interrotta nel 2017, in seguito ad accuse di corruzione, ma il sospetto su possibili intenti di speculazione economica del governo centrale rimangono,