Uscire dal carbone al più tardi entro la prima metà del prossimo decennio. Sarebbe questo uno degli accordi già raggiunti nel corso del G7 dedicato a clima, energia e ambiente in corso alla Venaria Reale di Torino. Il vertice era iniziato con una raffica di strette di mano per il ministro Pichetto Fratin. Nel cortile d’onore della reggia torinese si sono succedute una trentina di delegazioni. Oltre ai rappresentati di Stati Uniti, Canada, Giappone, Regno Unito, Germania, Francia e Italia, sono stati infatti invitati i vertici delle Nazioni Unite, delle Conferenze Onu sul clima (quella 2023 di Dubai e la prossima che si terrà a Baku), delle agenzie internazionali che si occupano di energia, come la Iea di Fatih Birol o l’Irena guidata dall’italiano Francesco La Camera, e di molti Paesi africani, interessati soprattutto al capitolo della finanza climatica, gli aiuti che le grandi economie dovrebbero erogare per facilitare la transizione energetica di chi non ha i mezzi per farla da solo.

Proprio ai Paesi in via di sviluppo ha dedicato parte del suo intervento introduttivo il “padrone di casa” Pichetto Fratin, indicando tra priorità la “cooperazione in particolare con l’Africa: costruire, secondo lo spirito del Piano Mattei, partenariati di tipo non predatorio, sostenendo i più vulnerabili nell’adattamento agli effetti del cambiamento climatico e favorendo quell’accesso all’energia pulita e sostenibile che oggi è negato al 43% degli abitanti del continente”. Simon Stiell, segretario esecutivo della Unfccc, l’agenzia Onu sui cambiamenti climatici, ha insistito sul successo di Cop28 che ora deve essere concretizzato nella realtà: la “transition away” dai combustibili fossili. “L’inquinamento da combustibili fossili costa ai vostri governi miliardi in spese sanitarie aggiuntive e perdita di produttività. E il riscaldamento globale fuori controllo minaccia la pace, portando instabilità e migrazioni forzate”, ha ricordato Stiell rivolgendosi alle delegazioni del G7. “I combustibili fossili sono il problema principale e la transizione su cui si è ottenuto il consenso a Dubai deve essere molto più rapida ed equa… Le economie del G7 devono fare molto meglio in termini di efficienza e investimenti nella riduzione delle emissioni, come hanno già fatto altre regioni del mondo. Ciò significa anche che i fondi pubblici non dovrebbero essere investiti in sussidi ai combustibili fossili. E il G7 dovrebbe prevedere l’eliminazione graduale del carbone entro il 2030, se vuole centrare l’obietto di 1,5 gradi in più di riscaldamento”.

Richiesta accolta, quest’ultima, accolta anche se con una tempistica diversa: le bozze di documento finale, elaborate dagli sherpa prima di essere sottoposte oggi e domani al vaglio dei ministri, conterrebbero infatti una roadmap molto dettagliata e rapida per l’addio definitivo al più inquinante dei combustibili fossili Anche se la finestra sarebbe stata estesa fino al 2035. Lo ha confermato alla stampa il ministro dell’Energia Britannico Andrew Bowie: “Si tratta di un accordo storico tenendo conto che non siamo riusciti a raggiungere l’obiettivo alla Cop28 di Dubai l’anno scorso. Riuscire ad avere i Paesi del G7 intorno un tavolo che mandano un segnale al mondo sul fatto che le economie avanzate sono pronte ad abbandonare il carbone è incredibile”. L’Italia si era già impegnata a uscire dal carbone nel 2025, poi la crisi energetica dovuta all’invasione russa dell’Ucraina ha spostato più in là il traguardo, con il ministro Pichetto Fratin che oggi parla del 2027. Ci sarebbe anche una sollecitazione a implementare politiche, da parte dei governi dei Paesi G7, che trasformino in realtà gli impegni presi a Dubai. In particolare definendo nuovi e più ambiziosi Ndc (contributi alla decarbonizzazione definiti a livello nazionale). Grande attenzione quindi alle rinnovabili (a Cop28 è stata messa nero su bianco la triplicazione a livello globale) e l’elettrificazione con una impennata della produzione di batterie nell’area G7 (si parla di 6 volte la capacità attuale).

Infine la finanza climatica. Nel testo esaminato in queste ore dai ministri dell’Ambiente G7 ci sarebbe il riconoscimento che per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad affrontate la transizione energetica le centinaia di miliardi (spesso promessi e non dati) non bastano: occorrono i trillions, migliaia di miliardi. Il vero problema sarà capire come reperirli, magari prendendo atto, come dice Simon Stiell, che l’inazione costerà alle nostre economie molto di più in termini di spese sanitarie, perdita di produttività, conflitti, migrazioni. Nel documento ci dovrebbero essere anche i temi cari al governo italiano. A cominciare dal ruolo del gas naturale come “combustibile di transizione”, soprattutto in caso di sicurezza energetica messa in pericolo da eventuali crisi geopolitiche. E poi il ritorno del nucleare, su cui potrebbe pesare la sponda offerta dai membri del G7 che fanno uso dell’energia atomica: Usa, Canada, Regno Unito, Francia, Giappone. Assai più isolata l’Italia sui biocombustibili, immaginati per far sopravvivere le auto a combustione anche dopo il 2035 (anno per il quale l’Unione europea ha messo al bando la produzione di veicoli di questo tipo). Ma solo da una attenta analisi del documento finale e dal peso attribuito a ciascun dossier si capirà su quali ricette ha deciso di puntare il G7 per affrontare la crisi climatica. Ricette che poi andranno definitivamente approvato dai capi di Stato e di governo nel meeting di giugno a Borgo Egnazia.