È un appello rimasto ancora inascoltato se periodicamente torna a farsi sentire. Da anni infatti, da più parti, arrivano segnali d’allarme per le anguille: sono sempre meno e rischiano di scomparire. Le cause sono molteplici: inquinamento e barriere fisiche che impediscono loro di muoversi liberamente per completare il loro complesso e affascinante ciclo vitale fanno la loro parte. I pesticidi, le correnti che cambiano anche, ricordano dalla Commissione europea. Ma a minacciare la salute dell’anguilla europea (Anguilla anguilla) è ovviamente anche la pesca, commerciale e ricreativa, e non possiamo più ignorarlo. Ma alle misure di controllo della pesca si aggiungono anche quelle rivolte ai consumatori: non mangiatele più, per favore.

A lanciare questo appello, tra gli ultimi, è stato Miguel Clavero Pineda, ricercatore presso la Doñana Biological Station del National Research Council spagnolo per le scienze naturali. Lo fa dalle pagine di The Conversation, dove senza tanti giri di parole scrive: “Stiamo mangiando l’anguilla europea fino a farla estinguere”. Il suo intervento non si rifà tanto alle ragioni che hanno portato le anguille alla situazione di oggi – quando se ne contano meno di un decimo rispetto a cinquant’anni fa – quanto piuttosto all’abitudine diffusa di mangiare le anguille, in barba ai segnali di minaccia che incombono sulla specie. L’anguilla europea infatti è considerata specie ad alto rischio di estinzione, equivalente allo stato “critico” secondo la lista rossa dello IUNC. Eppure le tradizioni e gli eventi enogastronomici nati e cresciuti per celebrare l’anguilla sembrano dimenticarlo. Siamo compresi, ovviamente, anche noi italiani, dove l’anguilla rimane piatto forte della tradizione napoletana per Natale o la protagonista di sagre come quella di Comacchio.

Eppure è necessario rivedere anche queste tradizioni considerato lo stato delle anguille oggi. Magari chi le cerca o le mangia non è consapevole del rischio in cui si trovano questi animali, scrive Pineda. E le misure già prese – l’Europa dal 2007 si è dotata di una legislazione in materia per promuovere la pesca sostenibile, la ricostituzione degli habitat e la circolazione degli animali, e dal 2018 ha lanciato ogni anno uno stop di tre mesi alla pesca – non possono bastare. Non può bastare neanche lo stop allungato, di sei mesi, annunciato nei giorni scorsi, ribadiscono da MedReAct, l’organizzazione a difesa della biodiversità del Mediterraneo.

Attivisti ed esperti chiedono infatti zero catture, sia a scopo commerciale che ricreativo, per tutto il 2023, con divieto che riguardi anche le cieche a scopo di ripopolamento e per acquacolture, lo stadio in cui le anguille rientrano nelle acque dolci dopo il viaggio nell’oceano, dal Mar dei Sargassi, dove vanno a riprodursi. Per quanto? Anche per dieci anni, scrive Pineda. D’altronde non dobbiamo per forza mangiare anguille. “Le ricette a base di anguilla sono ancora molto pubblicizzate dai media e servite in ristoranti eleganti – conclude – Voglio credere che chef e giornalisti gastronomici semplicemente non siano a conoscenza dello stato critico in cui versa l’anguilla, e che sosterrebbero un divieto di sfruttamento dell’anguilla se solo sapessero”.