“Al momento non c’è una emergenza siccità nell’Italia meridionale. Ci sono piccole crisi molto localizzate, nel basso Lazio e in Calabria, ma niente che possa indurci a dichiarare lo stato di emergenza. Anche perché l’Italia è ricchissima di acqua sotterranea, è il nostro vero tesoro. Peccato che lo Stato non faccia abbastanza per valorizzarlo”. Vera Corbelli è il Segretario Generale del Distretto idrografico dell’Appennino Meridionale: geologa di formazione (“Ma mi considero un ingegnere mancato…) è la massima autorità in fatto di risorse idriche per il tratto di Penisola che va da Roma a Reggio Calabria. Il suo Distretto (uno dei sette in cui è suddivisa l’Italia da quando la direttiva europea del 2000 ha imposto di accorpare le Autorità di bacino in entità più ampie) vigila sull’acqua del Meridione. “Dobbiamo garantire la qualità e la quantità della risorsa idrica per cittadini, aziende agricole e imprese. Ma anche vigilare sui danni che l’acqua può fare a persone e infrastrutture: ci occupiamo di alluvioni, dissesto idrogeologico, erosione costiera… Perché è un bene preziosissimo da tutelare, ma può anche trasformarsi in una minaccia. Per fare tutto questo ho a disposizione 170 tecnici”.


Dottoressa Corbelli, ma davvero il territorio che le compete (Campania, Molise, Basilicata, Puglia, Calabria, l’Abruzzo meridionale e il Lazio meridionale) non stanno risentendo del grande caldo e della siccità di questi ultimi mesi?

“Abbiamo un organismo, l’Osservatorio risorse idriche, che mette intorno a un tavolo tutti i soggetti interessati, dalle istituzioni all’Enel ai consorzi di bonifica, per tenere sotto controllo l’uso dell’acqua e le eventuali criticità. Se ce ne sono, invia degli alert e invita a mettere in atto le opportune contromisure. A quel punto scattano i tavoli tecnici operativi, con tutti gli enti che gestiscono l’acqua e insieme si decide che manovra fare. Ebbene, l’ultimo Osservatorio si è riunito venti giorni fa e non ha evidenziato alcuna situazione di emergenza nel territorio di nostra competenza”.

Diceva però di piccole crisi locali…

“È vero. Non abbiamo le difficoltà che in questo momento si stanno vivendo nel Nord Italia, ma situazioni particolari sì: nel Lazio ma anche nel Crotonese, e c’à una criticità puntuale nella zona di Chieti. Però sono fatti locali, dovuti soprattutto a un deficit di infrastrutture più che di acqua”. 

 

Vuol dire che l’acqua c’è ma non sappiamo portarla dove serve?

“È così. Sappiamo che in alcune zone d’Italia le perdite degli acquedotti oscillano tra il 40 e il 70%”.

 

Eppure si direbbe che l’acqua, indipendentemente dagli acquedotti-colabrodo, cominci a scarseggiare anche per i cambiamenti climatici.

“È chiaro che se le precipitazioni dovessero continuare a diminuire, le scorte idriche dell’Italia potrebbero soffrirne. Ma al momento il nostro Paese è ricchissimo di acqua: è il nostro petrolio. Non mi riferisco a quella dei laghi o dei fiumi, alle acque superficiali, ma a quelle sotterranee. E al momento non ci risulta che le falde sotterranee siano in sofferenza, nonostante la diminuzione delle precipitazioni”.

Ma utilizziamo bene questa grande ricchezza?

“Assolutamente no. Proprio perché le acque sotterranee sono il nostro tesoro, andrebbero tutelate e monitorate molto meglio di quanto di faccia oggi. Per farlo ci vogliono pozzi di sondaggio e vanno controllate tutte le sorgenti. Senza questo monitoraggio non si può parlare di sostenibilità, perché non possiamo sapere in che condizioni stanno le falde, qual è il loro tasso di rimpinguamento e per quanti anni ci assicurano l’acqua. Dell’acqua bisognerebbe occuparsi sempre e non solo nei momenti d’emergenza. Lo Stato riserva poche risorse al monitoraggio dell’acqua, è un grave problema perché non tutela un bene primario per la società e per i territori”.

Con quali conseguenze?

“Beh il Meridione avrebbe bisogno di 670 milioni di metri cubi annui in più, per garantire l’acqua nei vari usi”.

 

Come si rimedia a questo deficit storico?

“Appunto utilizzando in modo sostenibile le acque sotterranee. Ma anche intervenendo su infrastrutture già esistenti. Io, per esempio, sono stata nominata commissario per l’efficientamento delle otto dighe lucane che garantiscono acqua alla Puglia, la grande assetata tra le sette Regioni del mio Distretto. Ebbene, anche grazie ai fondi del Pnrr, entro il 2026 realizzeremo gli interventi necessari e recupereremo oltre 300 milioni di metri cubi all’anno, il 50% dell’acqua che manca al Mezzogiorno”.

Questi sono interventi strutturali. Quando c’è invece una emergenza, una carenza d’acqua dovuta alle siccità per esempio, è comunque l’Autorità distrettuale a decidere come agire? Quali rubinetti aprire e quali chiudere?

“La legge individua tre organi. La Conferenza istituzionale permanente, formata da alcuni ministri competenti (Mite, Mims, Mipaf, Mic), dalla Protezione Civile) e dai presidenti delle sette Regioni del Distretto. Poi c’è un Comitato tecnico che rappresenta queste istituzioni. Infine il Segretario generale del Distretto che, seguendo le indicazioni della Conferenza istituzionale, attua le misure sul territorio. Quindi sì: decido io, ma di concerto con tutti gli attori coinvolti nella gestione delle risorse idriche”.

 

In California e nel Regno Unito, in tempo di ondate di calore, si vieta di usare l’acqua per irrigare i giardini. Se fosse necessario in Italia sarebbero le Autorità Distrettuali a deciderlo?

“L’Osservatorio risorse idriche di ogni Distretto dà anche indicazioni di questo tipo, ma poi sono le istituzioni locali, i Comuni o le Regioni, a doverle implementare. Si tratta soprattutto di insegnare ai cittadini un corretto uso della risorsa idrica. È scandaloso che si usi ancora l’acqua sorgiva che dalle montagne è stata fatta viaggiare per centinaia di chilometri per poi lavare l’automobile, o per lo sciacquone. La legge 36 del 1994 aveva previsto le reti duali: l’acqua buona per bere, quella meno buona per gli altri servizi. Purtroppo non è stata mai messa in pratica”.